Personale

Danno erariale, lo shopping compulsivo non salva l'economo infedele

di Vincenzo Giannotti

La presenza di una grave alterazione mentale che sia tale da determinarne una incapacità di intendere e volere al momento dell'azione, può costituire una forte esimente del dipendente infedele che si sia appropriato indebitamente delle somme avute a disposizione dalla propria amministrazione, ai fini della colpa grave previste per il danno erariale. Il disturbo da dipendenza da shopping, pur rientrando nel più ampio genere delle dipendenze, come quelle da sostanze o da gioco d'azzardo, per quanto grave e invalidante, non è in grado tuttavia di compromettere la capacità di intendere e volere, con la conseguenza che l'appropriazione indebita del denaro avuto a disposizione costituisce danno erariale. Sono queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte dei conti della Toscana (sentenza n. 389/2019) che ha condannato per danno erariale l'economa di un'amministrazione pubblica che aveva sottratto somme avute a propria disposizione per propri fini personali.

Il fatto
Una dipendente di un'amministrazione pubblica è stata citata in giudizio dalla Procura contabile per essersi appropriata per fini personale di somme di cui aveva avuto la disponibilità in occasione del servizio svolto. A suo tempo interrogata dall'ente sulla destinazione delle somme, la stessa aveva avuto modo di simulare spese rivelatesi non corrispondenti a vero, tanto da essere stata oggetto di un provvedimento di licenziamento senza preavviso e imputata in un procedimento penale per peculato. A propria difesa, la dipendente ha chiesto che venisse presa in considerazione la sussistenza di uno stato di incapacità di intendere e volere al momento del verificarsi dei fatti contestati, producendo a supporto la testimonianza di due medici specialistici che l'avevano in cura. Secondo, infatti, i due medici la dipendente sarebbe stata affetta da disturbo bipolare e dipendenza da shopping, tale da escludere la capacità di intendere e volere della stessa, già ricoverata per ben tre volte per i suddetti disturbi sofferti, in relazione alla sua autodeterminazione in relazione ai fatti di causa.

La conferma del danno erariale
Il collegio contabile ha ritenuto che la patologia evidenziata dalla convenuta non potesse costituire esimente per il danno erariale prodotto con le sue azioni infedeli nei confronti della propria amministrazione. Ha, infatti, rilevato come, il disturbo da shopping compulsivo sia generalmente associato ai disturbi del controllo degli impulsi e caratterizzato dal ripetersi di episodi nei quali si sperimenta un impulso irrefrenabile a fare acquisti che seppur riconosciuti come inutili o eccessivi non riescono a essere evitati o tenuti sotto controllo. Ciò comporta che, con specifico riferimento all'incidenza di detto impulso sulla capacità di intendere e volere, lo stesso possa essere rilevante unicamente con riferimento alla specifica condotta che prima di essere compiuta e nel momento in cui il soggetto la compie non suscita riprovevolezza nell'autore, ferma restando la possibile successiva consapevolezza delle conseguenze, con tutte le ricadute in termini di depressione e nuovi disturbi dell'umore. Nella testimonianza del medico specialista è stato, tuttavia, rilevato che l'atto in cui il paziente non è consapevole è l'atto di acquisto che deve essere fatto, mentre tutto ciò che sta intorno all'acquisto è una costruzione cognitiva cosciente. Infatti, la dipendenza ossessiva dallo shopping, per quanto grave e invalidante non ha potuto minimamente compromettere la capacità di intendere e volere della convenuta che ha posto in essere le condotte contestate. In altri termini, un impulso irrefrenabile all'acquisto, sebbene possa alterare la capacità che ha il soggetto di autodeterminarsi nel momento in cui entra in un negozio, non può avere alterato la precedente e la successiva capacità cognitiva della convenuta che non solo ha sottratto, ma a distanza di tempo, ha anche artatamente preordinato una condotta successivamente dissimulatoria della prima.
La dipendente, avendo compiuto le azioni infedeli nella piena capacità di intendere e volere, deve essere condannata al danno erariale equivalente alle risorse finanziarie sottratte all'ente pubblico.

La sentenza della Corte dei conti Toscana n. 389/2019

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