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Sulla nomina degli amministratori delle partecipate decide il giudice ordinario

di Michele Nico

Le procedure di nomina degli amministratori delle società partecipate competono alla giurisdizione del giudice ordinario, anche quando si tratti di società in house interamente partecipate dalla Pa.
Questo il principio affermato dalle Sezioni unite della Cassazione civile con ordinanza n. 34473/2019 in sede di regolamento di giurisdizione, in esito al ricorso proposto da un aspirante al posto di amministratore in una partecipata capitolina, che aveva contestato le modalità di valutazione delle proprie competenze da parte della sindaca di Roma, nonché il giudizio (peraltro non reso noto) di non idoneità alla carica nel Cda.

La decisione
Le argomentazioni addotte dalla Cassazione fanno riferimento all'evoluzione giurisprudenziale e normativa che, nel corso degli anni, ha definito con chiarezza la natura giuridica delle società pubbliche, per molto tempo rimaste in mezzo al guado tra il diritto pubblico e quello civile, dopo che il legislatore ha legittimato l'impiego dello strumento societario in mano pubblica con la legge di riforma dell'ordinamento delle autonomie locali (articolo 22, lettera e) della legge 142/1990).
Nella pronuncia in esame i giudici scrivono che «con riguardo alla società partecipata da un ente locale, pur quando costituita secondo il modello del cosiddetto in house providing (…) le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci, ai sensi dell'articolo 2449 del codice civile, spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, non di quello amministrativo, perché investono atti compiuti dall'ente pubblico uti socius, non iure imperii».

I precedenti giurisprudenziali
L'impostazione seguita dai giudici è quella originariamente coniata dalle medesime Sezioni unite con la nota pronuncia 4989/1995, sul caso della Siena Parcheggi Spa, secondo la quale «la partecipazione pubblica prevalente non altera il modello societario tradizionale, in quanto la struttura e le regole della società per azioni restano immutate e il socio pubblico si inserisce nel contesto societario con gli stessi poteri del socio privato, senza poteri speciali di natura pubblicistica».
Questa linea era stata in seguito messa in discussione dal Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 1206/2001 in tema di società a capitale pubblico aveva rilevato la necessità di eseguire una valutazione caso per caso, con una verifica volta ad accertare se le regole di funzionamento e di organizzazione della società partecipata presentassero connotati suscettibili di alterare il modello societario tradizionale, e di configurare in sostanza un organismo di diritto pubblico.
Le incertezze della giurisprudenza sono state risolte a livello legislativo, dacché l'articolo 1, comma 3, del Dlgs 175/2016 ha sancito che «per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato», mentre il successivo articolo 12 dello stesso decreto ha stabilito che la giurisdizione spetta alla Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dipendenti delle società «in house providing», ma non anche per quanto attiene alla nomina o revoca degli organi sociali designati dal socio pubblico, non rinvenendosi una disposizione specifica in questo senso.
L'intervento legislativo ha definitivamente archiviato, in quanto non coerenti con la ratio legis dell'ordinamento, le argomentazioni di segno contrario a tratti sostenute dalla giurisprudenza, secondo cui i provvedimenti di nomina e revoca degli organi di governance sarebbero atti amministrativi discrezionali provenienti dal socio pubblico e diretti alla costituzione di un organo posto in essere per il perseguimento di finalità pubblicistiche, e come tali suscettibili di attrarre la materia de qua nella sfera della giurisdizione amministrativa.

L'istruttoria della nomina
Tutto ciò non toglie, evidentemente, che la nomina di amministratori nel Cda delle società a capitale pubblico debba aver luogo nella puntuale osservanza delle norme di legge e regolamentari che informano l'ordinamento giuridico delle autonomie locali.
Ci si riferisce segnatamente all'esigenza che – in ottemperanza a quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 241/1990 – la motivazione del provvedimento di nomina indichi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'ente, in relazione alle risultanze dell'istruttoria, nonché tenuto conto delle modalità previste dal regolamento consiliare d'indirizzo per le nomine articolo 50, comma 8, del Tuel (per il quale, tra l'altro, la revoca del rappresentante si giustifica, oltre che per gravi motivi di incompatibilità, quando l'attività dell'amministratore si sia svolta in contrasto con gli indirizzi consiliari in materia).
In definitiva, la nomina dei rappresentanti comunali presso gli enti da parte del sindaco è un atto di natura complessa da adottarsi sulla base degli indirizzi del Consiglio comunale e in esito a un'istruttoria coerente con le prescrizioni di diritto amministrativo, ma la nomina del Cda, per il fatto di innestarsi nell'assetto organizzativo di un organismo strumentale avente natura societaria, sarà poi soggetta al vaglio della magistratura ordinaria.

L'ordinanza della Corte di Cassazione n. 34473/2019

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