Personale

Decreto assunzioni, caso per caso ecco i paradossi sugli organici

di Gianluca Bertagna

Ma il Decreto Crescita non doveva portare maggiori assunzioni nei Comuni? Sono tanti gli operatori che si stanno facendo questa domanda dopo aver verificato che dall'applicazione delle regole del decreto attuativo (ancora non in Gazzetta Ufficiale) derivano conteggi molto strani, quasi assurdi (si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 13 gennaio). Andiamo con ordine.
L'articolo 33, comma 2, del Dl 34/2019 nasceva, si è detto, per dare più spazi nelle assunzioni a tempo indeterminato, così da superare gli stretti vincoli del turn over, che dopo tanti anni era comunque salito al 100 per cento. A metà dicembre, dopo l'incontro in Conferenza Stato-Città, è stata diffusa la bozza dell'attesissimo decreto attuativo, e poi si è pure modificata la norma originaria con il comma 853 della legge di bilancio 160/2019; prevedendo non una, bensì due percentuali soglia, una più alta e una più bassa, espressive del rapporto tra spese di personale e entrate correnti. Fermo restando che non è previsto in nessun caso un divieto di assunzione, un Comune potrà collocarsi in tre diverse fasce, ciascuna foriera di conseguenze diverse.

Comuni oltre la soglia più alta
È la situazione più semplice di tutti. Questi enti dovranno ridurre il rapporto percentuale tra spesa di personale ed entrate correnti in modo da attestarsi non oltre il valore soglia superiore; tutto ciò entro il 2025, attraverso una o più delle seguenti azioni: a. la riduzione della spesa di personale, anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento; b. l'aumento delle entrate correnti; c. la diminuzione del fondo crediti. Poiché non è stato abrogato né disapplicato, è naturale pensare che debbano comunque contenere le spese di personale al di sotto del limite previsto dall'articolo 1, comma 557 o 562, della legge 296/2006, e utilizzare, al più, un turn over del 100 per cento.

Comuni tra le due soglie
Questo caso, al momento, sembra un gran pasticcio. Il decreto attuativo dice pochissimo, ovvero: «i comuni non possono incrementare la spesa di personale rilevata nell'ultimo rendiconto di gestione approvato». Non una parola di più. Quindi, se da una parte è vero che non hanno un obbligo di giungere, entro il 2025, a una determinata soglia, è anche vero che viene loro imposto un nuovo limite: quello delle spese di personale dell'ultimo rendiconto approvato, che per il 2020 è quello del 2018. E già si profila un rischio: se questi enti nel 2019 avessero assunto personale, specialmente se a tempo indeterminato, e aumentato conseguentemente la spesa rispetto all'anno precedente, si troverebbero immediatamente nell'impossibilità di raggiungere l'obiettivo. Senza contare che, probabilmente, stante la non abrogazione dell'articolo 3 del Dl 90/2014, che è richiamato, anzi, nelle premesse del decreto attuativo, questi enti, come quelli di cui sopra, mantengono un turn over al 100 per cento della spesa dei cessati nell'anno precedente.

Comuni sotto la soglia più bassa
Per questi, tre regole fondamentali: a. possono aumentare la spesa di personale, fino a raggiungere il valore soglia inferiore; b. ciò, però, solo per gradi, in quanto il decreto impone ulteriori percentuali di incremento progressivo; c. possono usare i resti di capacità assunzionali degli ultimi cinque anni, ma a patto che, comunque, non si superi il valore soglia. E proprio qui si sfiora l'assurdo. Ipotizziamo un comune che porti in dote una capacità residua di 90.000 euro. Immaginiamo anche che l'incremento reso possibile dal decreto, entro la soglia più bassa, sia pari a 50.000 euro. Quale somma potrà l'ente destinare a nuove assunzioni? Risposta: 50.000 euro, perché diversamente supererebbe la soglia! Cioè molto meno dei 90.000 euro che invece avrebbe potuto spendere con la normativa precedente, a dispetto della «crescita».

Casi pratici per capire meglio

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