Personale

Il dirigente erroneamente rimosso non può esigere il vecchio incarico

di Pietro Alessio Palumbo

In considerazione della natura fiduciaria e discrezionale della scelta dell'amministrazione non sussiste alcun diritto del dirigente al conferimento o alla conservazione di uno specifico incarico. Neppure quando con sentenza si sia accertato che erano errati i calcoli di anzianità e la conseguente previsione di imminente pensionamento posti a base della «inopportunità» di conferire al dirigente un incarico migliore o di lasciargli quello in corso.
Anzi, precisa la Corte di cassazione nella sentenza n. 5546/2020, non vigendo per la dirigenza pubblica l'ordinaria regola dell'equivalenza delle mansioni, non può neppure sostenersi che la mancata assegnazione di un incarico equivalente a quello in precedenza ricoperto costituisca automaticamente fonte di danno risarcibile, visto che per questi alti profili, la cessazione di un incarico di funzione e la successiva attribuzione di un incarico di studio non determina sempre una forma di demansionamento.

La vicenda
A un dirigente che si era candidato a ricoprire un nuovo ruolo, posizione poi assegnata a un altro, è stato conferito «in considerazione del limitato arco temporale residuo di permanenza in servizio» un incarico di studio e ricerca. Il tribunale su ricorso del dirigente ha accertato un errore di calcolo sull'anzianità. A questo punto il dirigente con un altro ricorso ha chiesto l'accertamento dell'illegittimità dell'incarico di studi assegnatogli oltre all'accertamento dell'illegittimità dell'incarico assegnato al dirigente concorrente.
La Corte d'appello ha condannato l'Amministrazione al risarcimento essendo stato l'incarico di studio conferito per una ragione rivelatasi infondata. In oltre ha stabilito che al dirigente doveva essere assicurato un incarico di pari professionalità di quello che gli era stato negato. Dal che l'Ente ha presentato ricorso in Cassazione.

La decisione
La Corte di cassazione ha chiarito che non vanno confusi il diritto soggettivo al conferimento dell'incarico e l'interesse legittimo di diritto privato correlato all'obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento consacrati nella Costituzione.
Il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l'attribuzione dell'incarico, bensì può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione. Più precisamente nel lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l'attitudine professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e pertanto non è applicabile la normativa civilistica secondo cui il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
La regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non è compatibile con lo statuto regolatorio previsto per il dirigente pubblico. E non solo. Non vigendo la regola dell'equivalenza delle mansioni non può sostenersi che la mancata assegnazione di un incarico equivalente a quello in precedenza ricoperto costituisca «automaticamente» fonte di danno risarcibile, visto che, in tema di dirigenza pubblica, la cessazione di un incarico di funzione e la successiva attribuzione di un incarico di studio non determina in sé un demansionamento.
Ciò nondimeno può verificarsi che l'attribuzione di un incarico di studio, in ipotesi legittima, venga poi concretamente realizzata con modalità tali da configurare un inadempimento contrattuale per la compromissione della professionalità del lavoratore, anche nella forma della perdita di chance, ovvero per la lesione della sua dignità professionale. Eventi questi, che diversamente dal caso in esame, possono determinare un danno risarcibile, tuttavia da allegare e provare analiticamente dal danneggiato senza alcuna forma di possibile automatismo.

La sentenza della Corte di cassazione n. 5546/2020

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©