Personale

Il militare sindacalista deve attenersi comunque alla linea gerachica

di Domenico Irollo

Il militare che intende rivolgere ai vertici della propria istituzione considerazioni critiche attinenti alla gestione del servizio deve sempre seguire la linea gerarchica, incorrendo in caso contrario in una violazione disciplinare, la quale resta punibile anche quando l'interessato formuli le rimostranze in veste di rappresentante di un'associazione parasindacale, lecitamente costituita. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3165/2020.

Il caso
Un carabiniere, ha esternato le proprie doglianze attraverso una «lettera aperta», pubblicata anche sulla stampa, indirizzandola, direttamente al comandante generale dell'Arma, in cui quest'ultimo veniva accusato di «non essere ‘super partes' ma di avere a cuore solo la sorte di chi gli è vicino». Il carabiniere ha firmato la lettera facendo precedere il proprio nominativo dall'indicazione del grado rivestito (maresciallo) e quindi ostentando di fatto il proprio status, pur presentandosi come «segretario generale» di un sodalizio associativo tra militari di natura sostanzialmente sindacale. I suoi superiori per questo motivo lo hanno punito con alcuni giorni di consegna semplice, contestandogli nello specifico di aver inoltrato la rivendicazione inerente (in senso lato) al servizio, senza rispettare la filiera gerarchica come invece imposto dall'articolo 12 del regolamento di disciplina militare (adesso, articolo 715 del testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, previsto dal Dpr 90/2010).
In prima battuta, il Tar Lazio ha dato ragione al milite, annullando la sanzione irrogatagli. Il verdetto di prime cure è stato però ribaltato dal Consiglio di Stato.

La decisione
Secondo Palazzo Spada, anche dopo che la Consulta, con la nota sentenza n. 120/2018, traendo spunto proprio da una vicenda che vedeva coinvolta l'associazione in questione, ha riconosciuto ai lavoratori con le stellette il diritto di affiliazione ad associazioni sindacali costituite tra di essi, va in ogni caso escluso che il militare possa farsi scudo dell'«etichetta» associativa per legittimare comportamenti che diversamente sarebbero perseguibili sul piano disciplinare. Difatti il Supremo collegio ha osservato che, laddove, per il tramite dell'utilizzo del paravento associativo, il militare avesse la possibilità di omettere l'osservanza delle regole della gerarchia, sarebbe facile per lui aggirarle, con conseguente grave pregiudizio della funzionalità di un sistema che soprattutto dalla compattezza delle sue regole intrinseche, e prima di tutto di quelle riferibili alla subordinazione gerarchica, trae il proprio prestigio e la propria autorevolezza.
Giova rimarcare come le statuizioni del Consiglio di Stato siano particolarmente interessanti anche perché giungono nel vivo del dibattito parlamentare su una serie di proposte di legge (atto Camera 875 abbinato a atto Camera 1060, atto Camera 1702 e atto Camera 2330) in materia di esercizio della libertà sindacale del personale delle forze armate e dei corpi di polizia a ordinamento militare, in cui peraltro, sulla scia dell'indirizzo della Corte Costituzionale, si prevede a fattor comune che le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari rappresentano e tutelano i propri iscritti su tutte le materie di interesse del personale rappresentato, a eccezione però delle «materie concernenti l'ordinamento, l'addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale, l'impiego del personale».

La sentenza del Consiglio di Stato n. 3165/2020

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©