Appalti

Risarcimento danni all'amministratore della partecipata che opera senza cautele

di Michele Nico

La condanna emessa dal tribunale di Perugia, con la sentenza n. 80/2019 a carico dell'amministratore unico di una società, ritenuto responsabile per l'insuccesso dell'attività imprenditoriale svolta in campo immobiliare, offre spunti di sicuro interesse anche in rapporto al quadro delle responsabilità afferenti la gestione delle società partecipate.
Chi per nomina di soci pubblici amministra una società in house deve svolgere il proprio mandato con la prudenza del «buon padre di famiglia», tenuto conto anche del fatto che, secondo l'articolo 12, comma 1, del Dlgs 175/2016, per queste società è fatta salva la giurisdizione della Corte dei conti in rapporto al danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti nel corso della gestione sociale.
Con questo disposto, il testo unico sulle società a partecipazione pubblica ha aderito a un orientamento da tempo espresso dalla Corte di cassazione, che riconosce la giurisdizione della Corte dei conti quando la cattiva gestione da parte degli amministratori di società partecipate causa danni alle risorse pubbliche. «La Pubblica amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata dal diritto privato, per cui il processo di privatizzazione della Pa non ha comportato riduzioni della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti» (Corte di cassazione, sentenza n. 19667/2003).
Anche gli amministratori delle società partecipate che operano al di fuori dell'in house providing devono svolgere il loro mandato in conformità ai principi di efficienza e di sana gestione finanziaria puntando a un'adeguata remunerazione del capitale investito. In caso contrario la condotta dell'amministratore è passibile di responsabilità sotto il profilo civilistico, come dimostra la sentenza del tribunale di Perugia.

Il fatto
Una società immobiliare aveva il compito di acquistare alcuni lotti di terreno edificabili nella zona di un Comune, facenti parte di un piano di lottizzazione approvato con delibera consiliare, per poi realizzare nella zona una serie di unità abitative da rivendere sul mercato.
A fronte del totale insuccesso dell'iniziativa imprenditoriale, i soci hanno chiamato in giudizio l'amministratore unico, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al suo operato, e segnatamente, per non aver adottato idonee cautele nella fase propedeutica dell'affare intrapreso.

La mancanza di cautela e verifiche
Dall'accertamento del Tribunale emerge la responsabilità dell'amministratore per una serie di scelte incompatibili con i doveri imposti dall'articolo 2381, ultimo comma del codice civile, secondo il quale ogni decisione gestionale deve essere adottata con le cautele, le verifiche e le informazioni preventive richieste per la scelta da compiere.
La cattiva gestione dell'amministratore si ricollega a condotte censurabili, che spaziano dall'affidamento dei lavori di costruzione delle unità abitative senza alcun contratto scritto (e per costi superiori a quelli di mercato) alla vendita degli immobili gestita in maniera approssimativa e negligente (tanto da ricavare proventi insufficienti a coprire perfino i costi di acquisto dei terreni), con l'effetto finale di gravare la società con ingenti oneri finanziari, altrimenti evitabili. A questo riguardo, il collegio osserva che « i principi in tema di business judgment rule, ossia di insindacabilità del merito delle scelte di gestione e di non imputabilità all'amministratore di una società di capitali dell'insuccesso dell'attività sociale, trovano (…) un limite nella valutazione della ragionevolezza delle scelte stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere».
Non si tratta, quindi, di valutare a posteriori l'economicità delle scelte gestionali operate, o il mancato profitto conseguito da una specifica scelta. In questo frangente, è possibile che le ricadute negative sulla gestione sociale derivino da uno scenario meno favorevole di quello previsto a causa di un effetto contingente connesso ai rischi d'impresa, senza profili di responsabilità per chi amministra la società.
Diverso è il caso sottoposto a tribunale di Perugia, in cui l'amministratore abbia operato senza adottare le necessarie cautele e verifiche del caso, stante il fatto che a norma dell'articolo 2381 del codice civile chi amministra è sempre tenuto ad agire in modo informato.

La diligenza del professionista
Nel quadro ora tratteggiato si iscrive, dunque, il regime di responsabilità degli amministratori al vertice delle società partecipate, tenendo presente che a prescindere dall'in house providing essi debbono operare secondo doveri di diligenza che superano quelli dello stesso mandatario, come ha affermato il tribunale di Trieste, secondo cui «agli amministratori di società è richiesta non la generica diligenza del mandatario (articolo 1710 del codice civile), cioè quella tipizzata nella figura dell'uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell'incarico e alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista all'articolo 1176, 2 comma, del codice civile per il professionista» (Sezione speciale in materia di imprese Sentenza 1° marzo 2018).

La sentenza del tribunale di Perugia n. 80/2019

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