Appalti

L’ispettore dei bus non può multare in tutta la città

Gli ispettori delle aziende di trasporto pubblico non possono essere utilizzati come ausiliari della sosta: la loro competenza nell’accertamento delle violazioni è limitata a quelle commesse da chi lascia un veicolo fermo su una corsia riservata ai mezzi pubblici. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 3494/2019, depositata il 6 febbraio scorso, che sposta l’ago della bilancia giurisprudenziale su una questione che da vent’anni è controversa. Lo dimostra il fatto che molti Comuni continuano ad adottare la prassi che invece allarga i poteri degli ispettori.

L’importanza di questa sentenza sta nel fatto che la si può quasi considerare come se fosse stata emessa dalle Sezioni unite: durante la discussione della causa, alla richiesta di rimettere a esse la questione avanzata dal ricorrente (un avvocato di Torino, Marco Biava, che è stato in giudizio in proprio), il Procuratore generale della Cassazione si è detto d’accordo. La Seconda sezione civile ha ritenuto che ciò non fosse necessario, in quanto il contrasto nella giurisprudenza di legittimità era circoscritto alle proprie pronunce. Dunque, si può affermare che la Cassazione abbia risolto le incertezze scegliendo l’indirizzo più favorevole ai guidatori.

La questione nasce dal fatto che 22 anni fa la legge Bassanini (la 127/1997), istituendo la figura degli ausiliari, previde (all’articolo 17) due fattispecie: quella degli accertatori appositamente abilitati e nominati che dipendono dai Comuni o dalle società di gestione dei parcheggi a pagamento (comma 132) e quelli che invece espletano funzioni ispettive per le aziende di trasporto pubblico locale (comma 133).

Quest’ultimo comma stabilisce sicuramente che il compito degli ispettori riguarda la sosta e/o la circolazione nelle corsie riservate ai mezzi pubblici. La norma non esclude espressamente che abbiano competenze sul resto delle strade urbane e ciò è stato utilizzato da molti Comuni, soprattutto grandi, per impiegare in modo flessibile il personale proprio e delle proprie controllate.

La giurisprudenza di merito e quella di legittimità avevano a lungo oscillato, ma tre anni fa la Cassazione aveva aperto la strada a una soluzione: la sentenza 2973/2016 aveva osservato che l’orientamento favorevole all’allargamento delle competenze si basava su vecchie pronunce che però riguardavano fattispecie diverse (si veda Il Sole 24 Ore del 3 aprile 2018). Ora la questione viene chiusa confermando quanto stabilito proprio dalla sentenza 2973/2016.

Come di consueto nelle questioni controverse, anche nella sentenza depositata il 6 febbraio la Cassazione ha deciso di compensare le spese di lite. Il ricorrente, però, evidenzia che in questo caso il contrasto poteva anche ritenersi risolto e che spesso i corpi di polizia continuano a sanzionare i cittadini in modo palesemente illegittimo e che i giudici compensano le spese anche su questioni giuridicamente non complesse. Per questo presenta appello anche contro le pronunce a lui favorevoli che però compensano le spese e segnala che in un caso gli è stata data ragione (sentenza 49/2018 del Giudice di pace di Torino).

La sentenza della Corte di cassazione n. 3494/2019

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