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Partecipate, non c’è l’in house se lo statuto permette l'ingresso di privati

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di Michele Nico

La clausola statutaria che prevede l'ipotesi di aprire il pacchetto azionario ai privati è un elemento dirimente per escludere che la società possa qualificarsi come soggetto in house, anche se, di fatto, il capitale sociale è sempre rimasto in mano pubblica. Sulla base di questa motivazione la Corte di cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 3330/2019 dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti e annulla la decisione con cui la sezione giurisdizionale centrale d'Appello aveva condannato gli amministratori e i sindaci di Trambus Spa (poi divenuta Atac Spa), interamente partecipata dal Comune di Roma, a risarcire l'azienda di trasporto pubblico locale per un importo complessivo pari a 1.120.000,00 euro, a seguito di una sanzione irrogata nel 2007 dall'Antitrust per condotte ritenute lesive della concorrenza.

I requisiti dell'in house providing
La pronuncia della Suprema corte è degna di nota, perché evidenzia come i presupposti che configurano l'in house providing sono estremamente labili, tanto che basta una clausola statutaria, rimasta peraltro sulla carta, a pregiudicare il rapporto di delegazione interorganica tra l'ente locale e la società pubblica, e a impedire che quest'ultima assuma il ruolo di mera articolazione organizzativa della Pa.
Si noti che, nell'esporre le ragioni della decisione assunta, le Sezioni unite non prendono neppure in esame gli ulteriori requisiti che, in aggiunta alla proprietà interamente pubblica del capitale, devono sussistere a supporto dell'in house providing, ovverosia:
• l'esercizio di un'attività prevalente a favore del socio o dei soci pubblici, che l'articolo 16, comma 3, del Dlgs 175/2016 ha fissato nella soglia minima dell'80 per cento del fatturato aziendale;
• l'assoggettamento della partecipata a un controllo analogo a quello esercitato dall'ente socio sui propri uffici.
Requisiti riscontrabili nella società di trasporto, che però «sfugge» al vaglio del giudice contabile per una questione di forma, e non di sostanza.

La partecipazione di soci privati
Lo statuto, infatti, all'articolo 5 prevedeva che «alla società potranno partecipare nuovi soci, pubblici e privati», questa clausola nel 2004 è stata soppressa, dopo essere rimasta inapplicata (Atac Spa è tuttora partecipata in via totalitaria dalla Capitale).
Questa circostanza, secondo i giudici, appare dirimente e rende superfluo l'esame di ogni altro profilo, portando a escludere che Trambus Spa potesse essere qualificata come società in house.
Ciò che conta, per i giudici, non è tanto il ruolo operativo e l'attività in concreto svolta dalla società partecipata, quanto invece le norme «interna corporis» che, in base allo statuto, ne regolano il funzionamento.
Questo significa, per esempio, che l'ampio oggetto sociale e il requisito dell'indefettibile partecipazione maggioritaria pubblica del capitale, che non escluda però, anche soltanto in ipotesi, l'ingresso di privati nella compagine societaria, sono ritenuti elementi incompatibili con i connotati di una società in house e determinano il difetto di giurisdizione del giudice contabile. Questa conclusione, pur essendo in linea con un pacifico orientamento giurisprudenziale, lascia aperto qualche interrogativo e non appare convincente.

La base normativa
Una simile valutazione formale non regge al confronto con il dettato normativo, dopo che il testo unico sulle società a partecipazione pubblica ha sancito, recependo le ultime direttive comunitarie in materia, che non osta all'in house providing la partecipazione di capitali privati «prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata» (articolo 16, comma 1, del Dlgs 175/2016).
Parrebbe, quindi, che un generico riferimento statutario all'apertura del pacchetto azionario ai privati, per di più mai avvenuto in concreto, potrebbe ritenersi compatibile in base all'evoluzione normativa alla qualificazione della partecipata come società in house, ma l'avviso della Suprema corte, come si è visto, è di segno diametralmente opposto.

La sentenza della Corte di cassazione n. 3330/2019

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