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Ema, Governo e Comune Milano impugnano il regolamento Ue

Il Governo impugna la decisione di trasferire ad Amsterdam la sede dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) e mette sul tavolo della Corte di giustizia europea due motivi di ricorso e 27 pagine di memoria per motivare la sua opposizione. L’impugnazione è stata presentata l’11 febbraio dall’Avvocatura generale dello Stato contro il Consiglio e il Parlamento europeo. Questa nuova impugnazione si ricollega al ricorso presentato un anno fa dal precedente Governo, tuttora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue.

L'atto di accusa
Nella lunga ricostruzione l’atto di accusa contro la disinvoltura e la mancanza di trasparenza con la quale i Paesi Bassi hanno ottenuto il trasferimento da Londra dell’Agenzia è durissimo ma sono ancor più dure le motivazioni con le quali il Governo (attraverso l’azione continua del ministro degli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi) ha criticato il Regolamento Ue 2018/1718 del 14 novembre 2018 che stabilisce l’assegnazione della sede Ema ai Paesi Bassi.
Nel ricorso si sottolinea che il Regolamento impugnato si è limitato a recepire la scelta cristallizzata nella riunione del Consiglio del 20 novembre 2017, alla cui adozione il Parlamento europeo non aveva preso parte. Secondo il Governo italiano il Parlamento europeo è stato sostanzialmente spogliato delle sue prerogative. Quel che ne consegue è l’illegittimità derivata del regolamento impugnato, proprio in ragione dell’illegittimità a monte della decisione assunta il 20 novembre 2017.

La nota della Farnesina
In una nota la Farnesina sottolinea che «il nuovo ricorso conferma la determinazione italiana a far debitamente verificare, a livello giurisdizionale, la legittimità delle procedure seguite per stabilire la nuova sede dell’Ema, a fronte del fatto che la candidatura di Milano offriva tutte le garanzie immediate per la continuità operativa di un’agenzia Ue fondamentale per la tutela della salute dei cittadini dell'Unione europea».
Il Governo non è solo in questa battaglia. Nei giorni scorsi anche il Comune di Milano ha impugnato dinanzi ai giudici di Lussemburgo il Regolamento europeo che ha formalizzato il trasferimento di sede dell’Ema da Londra ad Amsterdam.
Il nuovo ricorso (presentato attraverso Francesco Sciaudone, managing partner di Grimaldi studio legale, e Massimo Condinanzi), censura il fatto che una decisione fondamentale per i cittadini europei sia stata adottata senza il minimo coinvolgimento del Parlamento europeo, in violazione del principio democratico che è alla base del funzionamento della stessa Unione. Il ricorso sottolinea inoltre che i vizi formali e sostanziali di quella decisione inficiano anche la legittimità del Regolamento 2018/1718, che ha semplicemente confermato l’esito del sorteggio.

La posizione di Farmaindustria
Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmaindustria, ha salutato con favore le mosse sullo scacchiere. «Fui il primo, ancora prima di Brexit – dichiara al Sole 24 Ore – a dire che l’Italia doveva rivendicare la sede dell'Ema. Siamo il primo Paese in Europa per presenza industriale farmaceutica. Mi auguro che sia possibile riaprire la partita e dico che bene fa il Governo, il Comune e magari anche la Regione a riprovarci. Credo che sia da tenere in considerazione la dichiarazione del direttore dell’Ema, Guido Rasi, che alcuni giorni fa ha parlato di caos. La mancanza di continuità può trasformarsi in un problema».
Diana Bracco, che rappresentava il mondo delle imprese nella Cabina di regia per la candidatura di Milano a sede Ema ha aggiunto che «come sistema privato denunciamo da sempre le falle di un processo di assegnazione che non ha coinvolto il Parlamento e ha affidato la propria scelta alla sorte».

Nel frattempo a Canary Wharf
Nel frattempo si attende la decisione dei giudici di Londra nella controversia che oppone l’Ema a Canary Wharf Group, proprietario del palazzo della zona finanziaria nell'East End della capitale britannica che ospita attualmente l'Agenzia. L’Ema vuole interrompere il contratto di leasing che la lega alla sede londinese fino al 2039 a un costo di 13 milioni di sterline (circa 15 milioni di euro) all'anno, giustificando l'interruzione proprio a causa della Brexit. Canary Wharf Group si oppone e ventila conseguenze disastrose per l'intero mercato immobiliare britannico se la Corte dovesse dare ragione all'Ema.

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