Appalti

Società in house, il controllo analogo non evita il fallimento

di Andrea Alberto Moramarco

La società di capitali con partecipazione pubblica, cioè in house, è assoggettabile a fallimento in quanto sul piano giuridico-formale si tratta di una società privata, per la quale trovano applicazione le norme civilistiche, comprese quelle sul fallimento, sul concordato preventivo e sull'amministrazione straordinaria. A ribadire il principio è la Cassazione con la sentenza n. 5346/2019 nella quale si sottolinea altresì che, ai fini dell'assoggettabilità a fallimento, non assume alcun rilievo la relazione interorganica che lega l'ente societario all'amministrazione pubblica, circostanza che al più può consentire all'azionista pubblico di svolgere un'influenza dominante sulla società partecipata.

Il caso
La vicenda riguarda le sorti di una società in house in liquidazione, partecipata da diversi Comuni, che si occupava l'attività di riscossione di imposte. Dopo la dichiarazione di fallimento, l'amministratore della società aveva convinto la Corte d'appello a revocare il provvedimento, per via della presenza dei requisiti della partecipazione totalmente pubblica, dello svolgimento di attività esclusiva in favore dei Comuni e, soprattutto, del «controllo analogo» effettuato dagli enti partecipanti nei confronti della società. In sostanza, per i giudici di merito la natura in house della società ne escludeva il fallimento. La questione arriva poi in Cassazione dove la curatela del fallimento poneva l'accento sull'«alterità, rilevante ai fini dell'assoggettabilità a fallimento, della società in house rispetto agli enti pubblici partecipanti».

Il rapporto tra ente pubblico e società partecipata
Il ricorso ha colto nel segno e ha portato i giudici di legittimità ad affermare, ancora una volta, la piena assoggettabilità a fallimento delle società in house, come desumibile anche dall'articolo 1 della Legge Fallimentare (Rd 267/1942) e dagli articoli 1 e 14 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (Dlgs 176/2016). Il Collegio ricorda come la società in house «non muta la sua natura di soggetto di diritto privato» solo perché enti pubblici ne posseggono le partecipazioni in tutto o in parte, operando sempre nell'esercizio di una propria autonomia negoziale. In altri termini, il rapporto tra l'ente pubblico e la società non rileva ai fini della qualificazione della natura giuridica di quest'ultima.
In particolare, ha precisato la Corte, la natura privatistica di queste società, da cui deriva la loro assoggettabilità a fallimento, non è affatto incisa dal controllo che l'amministrazione pubblica esercita sulla società partecipata, il quale «serve solo a consentire all'azionista pubblico di svolgere un'influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento», senza però che ciò incida «sull'alterità soggettiva dell'ente societario nei confronti dell'amministrazione pubblica» controllante. Ciò significa che sul piano giuridico-formale la società in house rimane «pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante».

La sentenza della Corte di cassazione n. 5346/2019

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