Appalti

Taglia-partecipate, la sanzione paradossale che punisce la società per colpe del Comune

di Stefano Pozzoli

Cosa accade alla maturazione dei 12 mesi di tempo previsti dal testo unico delle partecipate (articolo 24) per realizzare la prima razionalizzazione periodica, nel caso in cui una dismissione non vada a buon fine?
Nel caso di revisione straordinaria, salvo il parziale dietrofront effettuato con il comma 5-bis inserito dall'ultima legge di bilancio, era comunque chiaro «in caso di mancata adozione dell'atto ricognitivo ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti, (…) la partecipazione è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all'articolo 2437-quater del Codice civile».

Disposizione volutamente ambigua
La disposizione è volutamente ambigua, non citando mai il "recesso" civilistico (articolo 2437) ma di fatto riferendovisi per modalità e tecnica. Questa prudenza è certo giustificata dal fatto che il legislatore si rende conto di quanto sia forzato introdurre un'ulteriore facoltà di recesso rispetto a quelle tassativamente indicate dal Codice civile.
Il pudore del legislatore è comprensibile, vista la delicatezza del tema, e deve guidare nella lettura delle disposizioni sulla razionalizzazione periodica (articolo 20, comma 7) dove si richiama l'articolo 24, comma 5 ma in modo molto circoscritto. Infatti, la mancata adozione della razionalizzazione ordinaria «da parte degli enti locali comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5mila a un massimo di euro 500mila (…). Si applica l'articolo 24, commi 5, 6, 7, 8 e 9».

Norma che riguarda solo gli enti locali
Si deve notare anzitutto che questa norma riguarda, per scelta consapevole del Dlgs 100/2017, i soli enti locali. Prima del decreto correttivo, era estesa a tutte le pubbliche amministrazioni.
Oltre a ciò il fatto che, nel medesimo comma, ci si riferisca all'articolo 24, comma 5, e non anche al comma 5-bis, fa pensare ad un uso esclusivamente sanzionatorio della disposizione, ovvero a una punizione e non a un'agevolazione. Questo per due ordini di considerazioni. Il primo, generale, è che un "recesso" così congegnato non può essere che straordinario, perché altrimenti darebbe a una sola categoria di soci la discrezione di uscire da una società a proprio arbitrio, rendendo perciò instabile il valore del patrimonio che è fondamentale elemento di garanzia per i terzi. Il secondo riguarda appunto il comma 5-bis, che sarebbe facilmente eludibile, solo iterando la decisione di dismettere la quota, anche se deliberando la dismissione o immaginandosi strumentalmente di non redigere il piano.

Interpretazione restrittiva
Resta il fatto che anche un'interpretazione restrittiva – si recede dalla partecipazione nel caso di mancato rispetto dell'articolo 20 – porta a una regolamentazione del tutto irragionevole, perché condiziona la patrimonializzazione di una società a un fatto esogeno e indipendente dai comportamenti dei propri organi, compresa l'assemblea.
Riesce difficile capire perché, a fronte dell'inadempienza di un Comune, debba essere colpita la società e con essa gli altri soci. In questi casi si rende necessaria la valutazione dell'azienda, per la quale il cda normalmente si avvale di un perito, e il parere del collegio sindacale e quello del revisore, che ovviamente richiede un compenso aggiuntivo. Da qui costi che in certi casi possono essere superiori al valore della partecipazione, che restano a carico della società. Tutto ciò potrebbe capitare, nel caso di Spa con molti comuni soci, anche ogni anno. Una disposizione, dunque, da abrogare al più presto.

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