Appalti

L’acqua dei sindaci in Emilia presenta un conto da 2,4 miliardi

La «nazionalizzazione» dell’acqua prevista dalla proposta di legge Daga costerebbe solo in Emilia-Romagna 2,4 miliardi di euro una tantum, tra indennizzi ai gestori estromessi (un miliardo) e maggior debito pubblico da consolidare nei bilanci degli enti locali (1,4 miliardi), e poi altri 800 milioni di euro l’anno di costi ricorrenti, tra il finanziamento degli investimenti e l’erogazione gratuita di 50 litri di acqua al giorno a tutti.
«Senza considerare costi di transizione, ripercussioni sul valore delle aziende multiservizi per il venir meno di economie di scala e di scopo, la perdita di credibilità e di valore dell’industria nazionale e il rischio di essere in balia dei cicli elettorali se le funzioni di regolazione tornassero in capo al ministero dell’Ambiente, mentre i tempi degli investimenti del settore si contano in decenni», sottolinea Donato Berardi, direttore del Laboratorio Ref Ricerche.

I numeri
I numeri dell’indagine Ref presentati ieri a Bologna per misurare i risultati di vent’anni di funzionamento della legge Galli declinata lungo la via Emilia, sono la miglior replica a chi, nei palazzi romani, sta lavorando per riportare in mano pubblica il servizio idrico integrato, come unica risposta per garantire a tutti i cittadini il diritto all’accesso all’acqua in modo democratico, sostenibile e con tariffe eque.
È come se il profitto di gestioni efficienti, efficaci ed economiche di cui si sta «macchiando» il virtuoso modello emiliano-romagnolo - perché qui fanno utili tutti, pur garantendo ottimi servizi, dai due big quotati Hera e Iren, alle società miste pubblico-privato a quelle inhouse, data la grande laicità nei criteri di affidamento - andasse a detrimento e non a beneficio della comunità. «Nessuno in Emilia-Romagna, né i gestori del sistema idrico integrato né Comuni né cittadini, sentiva l’esigenza di nuove norme, perché siamo in presenza di un quadro regolatorio che funziona e di un alto livello di gradimento: l’acqua è buona, costa poco e arriva sempre», sintetizza Luigi Castagna, presidente di Confservizi regionale, che ha commissionato la ricerca e invitato ieri tutti gli stakeholder dell’industria idrica a confrontarsi sul tema.

Minori perdite degli altri
A fronte del 40% di perdite del sistema idrico italiano, l’Emilia-Romagna non arriva al 30% (il benchmark europeo è tra il 15 e il 20%, si può ancora migliorare); le reti fognarie hanno la metà degli sversamenti rispetto alla media; gli investimenti sono stati fino al 2015 il doppio del dato nazionale e ora restano attorno ai 52 euro per abitante, ancora la metà rispetto al Nord Europa con cui la regione manifatturiera è avvezza confrontarsi, ma le tariffe sono anche della metà (2,31 euro/mc per una famiglia media, la metà di quanto pagano quelle londinesi e il 40% in meno di quelle parigine, in linea col dato italiano peraltro). E anche nella siccitosa ed emergenziale estate 2017, in regione non ci sono state interruzioni del servizio idrico.

L'opinione
«L’unica cosa da salvare della riforma Daga è la carta su cui è scritta, per riciclarla», è il giudizio tranchant di Franco Fogacci, direttore Acqua di Hera, la seconda multiutility in Italia nel settore acqua (per metà in mano ai sindaci, per quanto quotata e addirittura ammessa al FTSE MIB), con 3,6 milioni di cittadini serviti, oltre 35mila km di rete idrica e 19 mila km di rete fognaria gestite, nonché sistemi di monitoraggio del servizio che sono un benchmark tecnologico in Italia (come la centrale di telecontrollo di Forlì).
«Investiamo ogni anno oltre 100 milioni di euro nel ciclo idrico – aggiunge -. Il 30% in più della media nazionale. Valori in netta crescita da quando, nel 2012, la regolazione del servizio idrico è stata affidata a livello nazionale ad Arera». La proposta di legge sulla ripubblicizzazione dell’acqua «così com’è non va. Come Regioni abbiamo già inviato parere negativo alla riforma. Se torniamo indietro al piccolo mondo antico, rischiamo di non avere risorse in futuro per gli investimenti», conclude Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni e governatore dell'Emilia-Romagna.

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