Appalti

La partecipata non può demansionare un dipendente perché il posto in organico è stato soppresso

di Michele Nico

La società partecipata può porre fine al rapporto di lavoro con un dipendente a fronte di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ma non può privare il lavoratore delle mansioni a causa della soppressione della posizione nell'organizzazione aziendale.

Il caso
Sulla base di questo principio, la Corte di cassazione civile, Sezione VI, con l'ordinanza n. 100023/2019, ha confermato la decisione della Corte d'Appello di Roma che aveva condannato una società di trasporto pubblico locale, interamente partecipata dalla Regione Lazio, a risarcire un dipendente giornalista addetto all'ufficio stampa per il danno (patrimoniale e non patrimoniale) derivato dalla privazione delle mansioni dal 2005 fino al licenziamento avvenuto alcuni anni più tardi. Il considerevole periodo intercorso tra la soppressione dell'ufficio stampa e il licenziamento del dipendente è stato dovuto alla lunga trattativa intercorsa tra quest'ultimo e l'azienda, alla vana ricerca di una soluzione concordata che poi non è stata raggiunta.
Nel frattempo il giornalista, rimasto senza ufficio per lavorare, si è ritrovato privo di mansioni per qualche anno, facendo incorrere la società in una violazione dei diritti inerenti la persona del lavoratore, oggetto di tutela costituzionale.

La decisione
La sentenza afferma al riguardo che «la sostanziale privazione di mansioni in un rapporto di pubblico impiego privatizzato non può essere un'alternativa al licenziamento».
Come avrebbe dovuto comportarsi allora l'azienda con il dipendente, dopo aver deciso la riorganizzazione della macrostruttura che ha soppresso la posizione lavorativa dell'interessato?
I giudici scrivono che la società poteva offrire al lavoratore, con il suo consenso, un posto anche con mansioni inferiori (ove la scelta fosse stata l'unica in grado di preservare l'occupazione) anziché mantenere un rapporto totalmente svuotato di contenuto professionale. È legittimo, infatti, il patto di modificazione delle mansioni diretto a evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche quando il patto comporta un sostanziale demansionamento per mancanza di mansioni equivalenti da assegnare al lavoratore. Nel caso in cui una qualsiasi soluzione fosse impossibile da raggiungere, tale circostanza potrebbe costituire un elemento integrativo della fattispecie di licenziamento per giustificato motivo, fermo restando che il fatto stesso di mantenere il dipendente "in parcheggio" e senza mansioni rappresenta una condotta illecita, che viola i diritti del lavoratore e che espone l'azienda al rischio di risarcimento danni.

L'ordinanza della Corte di cassazione n. 100023/2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©