Appalti

Servizio idrico integrato, vietata la partecipazione di privati nella società in house

di Michele Nico

Non si può affidare in via diretta la gestione del servizio idrico integrato a una società in house con la partecipazione di capitali privati, sia pure non in grado di esercitare un'influenza determinante sulla governance societaria. Questo il principio affermato dal Consiglio di Stato, con il parere n. 1389/2019, formulato a riscontro del quesito posto dal presidente della Regione Piemonte per sapere se gli enti di governo operanti sul territorio regionale possono affidare il servizio idrico a società in house con una partecipazione privata senza controllo o potere di veto.

La cornice giuridica
Le fonti normative inerenti il quesito sono di diversi livelli, e vanno dall'ambito locale a quello comunitario.
Sul piano regionale, l'articolo 7 della Lr 13/1997 ha previsto che le autorità d'ambito affidano la gestione del servizio idrico integrato nelle forme previste dall'articolo 22, comma 3, lettere b) ed e) della legge 142/1990, come integrato dall'articolo 12 della legge 498/1992, e dall'articolo 25, comma 1, della legge 142/1990.
Come si può notare, la disposizione appare superata perché richiama norme di legge da tempo abrogate, per cui nel parere la Sezione osserva che il riferimento va oggi inteso alle disposizioni comunitarie e nazionali vigenti in materia, ossia alle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, recepite in Italia sia con il Dlgs 50/2016 (codice dei contratti), sia con il Dlgs 175/2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).
Questi ultimi interventi hanno modificato la nozione dell'in house providing tramandata dalla giurisprudenza comunitaria, che presupponeva sempre e comunque la proprietà interamente pubblica del soggetto in house, aprendo la strada a una possibile partecipazione minoritaria di capitali privati.
Nello specifico, l'articolo 12, comma 1, lett. c) della direttiva 2014/24/UE – recepita dal legislatore nazionale con i decreti legislativi sopra richiamati – ha ravvisato la possibilità dell'affidamento in house se «nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata».
Per quanto riguarda in particolare il servizio idrico integrato, la normativa in questione non sembra coordinarsi con il codice dell'ambiente Dlgs 152/2006, ove l'articolo 149-bis, comma 1, stabilisce che «l'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche (…) comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale».
Di qui il quesito posto ai giudici di Palazzo Spada in ordine alla composizione del capitale della società in house del settore del servizio idrico, un ambito che, oltretutto, risulta escluso dalla disciplina comunitaria in ragione dell'importanza fondamentale che riveste il bene dell'acqua per la vita dell'uomo.
Come si legge nel considerando n. 40 della direttiva 2014/23/Ue, «le concessioni nel settore idrico sono spesso soggette a regimi specifici e complessi che richiedono una particolare considerazione data l'importanza dell'acqua quale bene pubblico di valore fondamentale per tutti i cittadini dell'Unione. Le caratteristiche particolari di questi regimi giustificano le esclusioni nel settore idrico dall'ambito di applicazione della presente direttiva».

L'analisi dei giudici
A fronte di ciò, il Consiglio di Stato ribadisce che per l'in house providing la norma europea non ha inteso autorizzare in generale la partecipazione dei privati, ma ha disposto un rinvio alle specifiche disposizioni di legge che «prescrivono» (e dunque impongono) una siffatta partecipazione.
La partecipazione privata, ancorché senza controllo o potere di veto, deve pertanto ritenersi compatibile con l'in house providing solamente quando è obbligatoria, e non facoltativa, in ragione di valutazioni effettuate dal legislatore interno.
Una simile interpretazione restrittiva punta a scongiurare uno scenario che veda la partecipazione diretta di un operatore economico privato al capitale della persona giuridica controllata in esito all'aggiudicazione di un appalto pubblico senza gara, situazione questa che finirebbe per offrire al privato un indebito vantaggio rispetto ai concorrenti.
In altre parole, anche se per la normativa sopravvenuta è astrattamente consentita la partecipazione diretta di capitali privati nella società in house, a livello interno nessuna disposizione (in materia di servizio idrico, ma non solo) la prescrive in forma obbligatoria, con l'effetto che, almeno per ora, il nuovo modello per l'autoproduzione di servizi appare destinato a restare sulla carta.

Il parere del Consiglio di Stato n. 1389/2019

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