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Decreti partecipate/1 - I nuovi tetti ai compensi puniscono i collegi sindacali

Come anticipato su questo quotidiano (Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 22 maggio) i decreti attuativi su compensi e requisiti degli amministratori delle società pubbliche sono pronti per i passaggi in conferenza Unificata e alle commissioni parlamentari per il parere. Il primo auspicio, ovviamente, è che le bozze di decreti ora divulgate non rimangano tali, perché affrontano due temi importanti per il mondo delle società pubbliche, ovvero la qualificazione degli organi ed i loro compensi, da troppo tempo ignorati nonostante la previsione del Testo unico delle società partecipate introdotto dalla riforma Madia .

Sui compensi non si può tacere però un problema evidente. Perché se i valori dei tetti massimi resteranno quelli scritti nell’ultima versione del provvedimento, e riprodotti nei grafici a fianco, a essere penalizzati saranno soprattutto i membri dell’organo di controllo. Cioè proprio quelli che in teoria il nuovo Testo unico aveva voluto valorizzare e che si troveranno ad essere assai più convolti e presenti in molte situazioni aziendali, in ragione delle previsioni del nuovo Codice sulle crisi di impresa.

Il membro di un collegio infatti vedrà riconoscersi al massimo 20 mila euro nelle società più grandi, per scendere a 8 mila in quelle più piccole. Al presidente dell’organo spetta invece il 50% in più, come da prassi. Un taglio, comunque, che in tanti casi risulterà pesante e francamente poco motivato.

Decisamente bassi anche i compensi per il presidente del consiglio di amministrazione e per tutti gli altri amministratori, ad eccezione degli amministratori unici e di quelli delegati. Si tratta di compensi estremamente contenuti, fermo il fatto che molte responsabilità e tutte le principali decisioni pesano comunque dall’organo collegiale.

Se gli altri piangono, al contrario gli amministratori unici e delegati si vedranno in molti casi aumentare i compensi: si andrà dai 240mila euro (tetto massimo per tutti i compensi nella pubblica amministrazione) delle società maggiori fino al tetto dei 120 mila delle società che non riescano a superare i requisiti minimi, ovvero fino a 30 milioni di euro di valore della produzione, meno di 50 milioni di attivo e meno di 100 dipendenti. Nella soglia più bassa si trova comunque, la stragrande maggioranza delle società.

Il decreto presenta non poche novità per le società a controllo pubblico, che si applicheranno ovviamente ai contratti firmati e alle nomine successive all’entrata in vigore del provvedimento.

Anzitutto, le norme riguardano non solo gli amministratori, ma anche i dirigenti e, come detto, il collegio sindacale. Per i dirigenti i compensi sono allineati a quelli degli amministratori e lo stesso vale per il loro “regime”, che consiste nell’ancoraggio di una parte importante del compenso, il 30%, ai risultati. Questa quota potrà essere erogata solo nel caso di aziende con un margine operativo lordo positivo. Questa ultima condizione, in verità, è assai semplice da raggiungere.

Il tetto dei compensi, ancora, è comprensivo della parte variabile ed al lordo dei contributi previdenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario.

Al di là degli importi, però, dal decreto emerge una distinzione netta di trattamento tra amministratore delegato e presidente della società. Un principio corretto, a condizione che sia preso come riferimento per tutta la normativa relativa agli amministratori, e quindi esteso anche alle inconferibilità, dal momento che la giurisprudenza tende ormai ad assimilare le due figure, spesso attribuendo in modo eccentrico la natura di delega di gestione diretta a competenze in qualche misura naturali per il rappresentante legale, e facendo diventare la figura di presidente senza deleghe una eccezione. Se i compensi devono essere minori e diversi, in sostanza, è bene che le interdizioni rispetto al ruolo siano di conseguenza ben circoscritte e certe.

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