Appalti

Statuto e patti parasociali tracciano il perimetro di società a controllo pubblico

di Vincenzo Giannotti

Per poter definire una società a controllo pubblico, cui si applicano le disposizioni restrittive previste dal Testo unico delle società partecipate (Dlgs 175/2017), non è sufficiente che i soci pubblici possiedano la maggioranza dei voti, sia in assemblea sia nel consiglio di amministrazione, ma è fondamentale verificare in concreto se le norme statutarie e i patti parasociali attribuiscono questo potere ai soci pubblici. In mancanza di ciò la società è da considerarsi al di fuori del perimetro di società a controllo pubblico. Questa la decisione contenuta nella sentenza n. 16/2019 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale, in speciale composizione, che ha annullato le deliberazioni di una Sezione regionale che hanno imposto agli enti locali la riduzione del numero dei componenti il Cda.

La vicenda
Con più decisioni, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per le Marche (deliberazioni nn. 61-62 e 68 del 2019), ha ordinato agli enti locali partecipanti in una società in house multiservizi di ridurre il numero dei consiglieri di amministrazione a un amministratore unico o al massimo, previa adozione di delibera motivata, in un numero non superiore a 5 membri. Il legale rappresentate della società in house ha proposto ricorso alle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione, al fine di dichiarare l'annullamento delle deliberazioni della Sezione regionale marchigiana, per violazione degli articoli 2 e 11 del Dlgs175/2016, e in particolare per aver considerato la società all'interno del perimetro delle società a controllo pubblico, per il solo fatto che i soci pubblici avessero la maggioranza delle azioni e dei voti in consiglio di amministrazione. Secondo la società privata sia il patto parasociale, sottoscritto anche dai soci pubblici, sia le norme statutarie prevedono il voto determinante del socio privato. Inoltre, l'errore della Sezione di controllo è dovuto anche al fatto di aver considerato voto unitario tutti i partecipanti pubblici e dimenticando che la maggioranza relativa (46,2% del capitale sociale) fosse intestata proprio al socio privato. La sezione regionale, infine, ha mal interpretato le indicazioni del Mef e dell'Anac che, pur assumendo un'interpretazione estensiva dell'articolo 2 del Tusp rispetto alla nozione civilistica di società a controllo pubblico disciplinata all'articolo 2359 del codice civile, hanno evidenziato la necessità del coordinamento tra i soci pubblici non presenti nel caso di specie.

La decisione delle Sezioni Riunite
La Corte, dopo aver sgombrato le eccezioni di rito sia sulla competenza delle Sezioni Riunite sia sulla tempestività del ricorso presentato dal socio privato, è entrata nel merito della legittimità delle deliberazione di accertamento del rispetto o meno delle disposizioni del testo unico da parte della società partecipata da enti locali o a controllo pubblico.
Quindi per il Collegio non si può non tener conto del fatto che una eventuale classificazione come società a controllo pubblico implicherebbe l'obbligo della società di conformarsi a una serie di disposizioni restrittive previste dal testo unico delle società a partecipazione pubblica. Non solo avuto riguardo al numero dei componenti del consiglio di amministrazione, ma anche in merito ai limiti al trattamento economico degli amministratori, alle regole sulla incompatibilità/inconferibilità degli incarichi, ai principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione, alla disciplina delle crisi d'impresa, alle regole sulla gestione dei rapporti di lavoro e, infine agli obblighi di trasparenza.
In considerazione dell'interesse ad agire da parte del socio privato, proprio per le implicazioni che discendono dalle deliberazioni della Sezione regionale, il ricorso merita accoglimento. Infatti, secondo la Corte, ha errato la Sezione regionale a fondare il suo convincimento sulla base dei soli indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di consiglieri nel Cda, mentre avrebbe dovuto verificare in concreto la disciplina statutaria e i patti parasociali per verificare in che termini, le pubbliche amministrazioni (enti locali) che detengono partecipazioni azionarie, fossero in grado di influire sulle «decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale». Proprio dall'esame di questi atti fondamentali emerge la posizione determinante del socio privato, con la conseguenza che non può essere configurabile alcun controllo da parte degli enti pubblici.
Pertanto, le deliberazioni della Corte regionale devono essere annullate ma gli effetti sono, tuttavia, limitati alla sola società ricorrente non avendo gli enti locali proposto impugnazione.

La sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 16/2019

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