Appalti

Sui compensi ai cda la Corte dei conti rimette in gioco le aziende speciali

di Michele Nico

Con la delibera n. 9/2019 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 6 giugno) la Sezione Autonomie della Corte dei Conti si è pronunciata controcorrente sul divieto di erogare compensi al Cda dell'azienda speciale, sostenendo che questo divieto non opera se l'azienda riceve dall'ente proprietario esclusivamente il capitale di dotazione e la remunerazione dei servizi prestati. In un simile frangente, scrivono i giudici, non trova applicazione l'articolo 6, comma 2, del Dl 78/2010 convertito dalla legge 122/2010, che sancisce la gratuità delle cariche negli enti e organismi che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche.

L'intervento dei magistrati contabili è degno di interesse non solo perché si discosta da molti pareri delle Sezioni di controllo ma anche (e soprattutto) perché sembra preludere a un diverso modo di considerare l'operatività dell'azienda speciale nel disimpegno della mission a favore del territorio. Solo pochi mesi fa la Sezione di controllo per la Toscana, con la delibera n. 40/2018 – in linea con una giurisprudenza costante in materia – aveva ribadito che agli amministratori di un'azienda pubblica di servizi alla persona non può essere riconosciuto un compenso, dato l'inderogabile divieto di legge in materia. Secondo l'orientamento dominante, la sfera di applicazione del divieto relativo agli «enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche» colpisce anche le aziende speciali indipendentemente dalla redditività del servizio gestito, cioè a prescindere dal fatto che la dipendenza finanziaria si manifesti o no sotto forma di una contribuzione da parte della Pa.

L'interpretazione restrittiva del Dl 78/2010 in materia ha mosso i primi passi con la delibera n. 366/2011 della Sezione di controllo per la Lombardia, in cui la Corte ribadiva il divieto di compensi anche nei confronti del Cda di un'azienda speciale titolare della gestione del servizio farmaceutico, che, senza aver mai registrato perdite d'esercizio, provvedeva al disimpegno del contratto di servizio con risorse proprie, operando secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Secondo la Sezione lombarda queste circostanze, ancorché suscettibili in astratto di escludere una dipendenza finanziaria dell'organismo strumentale dalla Pa, non assumevano rilievo dirimente, dacché sarebbe la medesima veste giuridica dell'Azienda speciale a precludere l'esenzione dal divieto di erogare emolumenti agli amministratori, in applicazione dell'articolo 6, comma 2, del Dl 178/2010.

Ora la Sezione Autonomie apre uno spiraglio a un diverso approccio che sembra voler riconsiderare la questione degli incarichi di governo alla luce del principio dell'onerosità del mandato (articolo 1709 del codice civile), là dove il mandato riguarda una carica pubblica volta a perseguire gli interessi della collettività, e il cui esercizio richiede al titolare non solo una qualificata esperienza professionale, ma anche l'assunzione di compiti esposti a notevole responsabilità.

Questo riesame si giustifica con l'esigenza di porre fine a una palese disparità di trattamento, legata al fatto che le società di capitali a partecipazione pubblica locale – non soggette, a differenza delle aziende speciali, al divieto stabilito dall'art. 6, comma 2, del Dl 78/2010 – nella maggioranza dei casi svolgono un ruolo molto simile a quello delle aziende pubbliche (articolo 114 del Tuel).

Non è in gioco, con tutta evidenza, la remunerazione di singoli amministratori nominati al vertice delle aziende speciali in rappresentanza dell'ente, bensì il ruolo e l'operatività di questi organismi strumentali, che, molto meglio delle società di capitali, appaiono in grado di garantire l'esercizio del controllo analogo da parte dell'ente locale, in coerenza con i principi comunitari in materia di organizzazione dei servizi d'interesse generale e di affidamenti in house.

Si può aggiungere che con il Dlgs 175/2016 il legislatore, imponendo una soglia minima di fatturato alle società partecipate, al di sotto del quale scatta per l'ente l'obbligo della razionalizzazione (articolo 20, comma 2, lettera d) del Tusp), ha fatto chiaramente intendere che l'impiego dello strumento societario non è indicato per la gestione delle piccole imprese pubbliche, di modo che, anche sotto questo profilo, il ruolo delle Aziende speciali trova ulteriori motivi di legittimazione.

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