Appalti

Guerrini (Arera): «Una Spa pubblica per portare l’acqua al Sud»

«Il nuovo collegio dell’Autorità sta dando continuità al lavoro che negli ultimi anni ha incentivato la crescita degli investimenti nel settore idrico e avviato l’Italia verso un allineamento con le migliori prassi europee. La spesa per investimenti in infrastrutture idriche è passata, per i due terzi della popolazione in cui la regolazione è a regime, da 961 milioni nel 2012 a 1,49 miliardi nel 2015 (+55%). Nel periodo 2016-2019 sono programmati investimenti da finanziare con tariffa per 8,4 miliardi (166 euro per abitante): si passa da 1,8 miliardi nel 2016 a 2,1 miliardi nel 2017 a 2,3 miliardi nel 2018 e a 2,2 miliardi nel 2019. Nel 2018-2019, inoltre, per effetto degli obiettivi posti dalla regolazione della qualità tecnica, i piani di investimento sono stati rivisti al rialzo del 20%. Ci sarà una riduzione del 19% delle perdite idriche in cinque anni. Il tutto con variazione media delle tariffe dello 0,3% nel 2018 e dello 0,7% nel 2019». Andrea Guerrini, consigliere dell’Arera (Autorità regolazione energia, rifiuti e acqua) racconta il lavoro di questi primi mesi sull’acqua e prende posizione sulle iniziative legislative che vorrebbero ripubblicizzare le gestioni idriche e riportare la regolazione al ministero.

Nonostante i risultati, il settore è al centro di un dibattito parlamentare, con la proposta di legge Daga orientata alla ripubblicizzazione delle aziende del servizio idrico e al ritorno alla regolazione ministeriale.

Le ragioni di questo dibattito hanno origine nel passato più che nel presente: negli anni in cui l’attività di regolazione era svolta soprattutto a livello locale, quando gli utenti di varie regioni hanno fruito di servizi di qualità ampiamente differenti, erogati da gestori non sempre perfettamente controllati nelle loro politiche di investimento e di efficientamento dei costi. L’introduzione del regolatore indipendente a livello nazionale, avvenuta dopo il referendum nel 2012, ha contribuito a omogeneizzare le regole del gioco per tutte, o quasi, le regioni italiane, stringendo la vite della regolazione e del controllo sulle aziende: questo grazie proprio all’azione dell’Arera cui la proposta di legge citata vorrebbe togliere le competenze sulla regolazione del servizio idrico.

Ma c’è qualcosa da correggere?

Sul fronte degli investimenti un aspetto critico era l’utilizzo del Fondo nuovi investimenti, alimentato con anticipazioni tariffarie e destinato alla realizzazione di interventi infrastrutturali ritenuti prioritari. L’analisi sui prospetti di bilancio delle utility svolta dagli uffici dell’Autorità ha fatto emergere alcune prassi, fortunatamente non diffuse, di utilizzo parzialmente distorto del fondo, che ha permesso da un lato di finanziare le infrastrutture previste, e dall’altro di attingere a finanziamenti di terzi per l’erogazione di dividendi. L’Autorità ha chiarito come il fondo non debba essere minimamente connesso con la politica di distribuzione dei dividendi.

Quali novità introdurrete con il Quadro strategico per 2019-2021?

Dobbiamo introdurre la sunshine regulation, o regolazione trasparente, con cui miglioriamo i flussi di comunicazione tra gestore e utente, e promuovere il contenimento dei costi.

Cos’è la sunshine regulation?

È un intervento incentivante che alcuni Paesi europei hanno adottato, fondato sulla pubblicazione di alcuni indici di performance dei gestori (qualità, costi unitari, indici di investimento), sotto forma di ranking periodici. Ogni soggetto regolato è stimolato a migliorare la sua reputazione con gli utenti serviti e i propri stakeholder.

Il Sud è escluso da questo percorso virtuoso indotto dalla regolazione.

Il Sud merita una riflessione ad hoc: ci sono gestioni al passo con la regolazione e realtà territoriali in cui il servizio idrico è frammentato tra diversi enti locali, lungo le diverse attività della filiera e, in alcuni casi, senza la presenza di un attore locale preposto alla programmazione e al controllo. Criticità sono presenti in Lazio, Campania, Calabria, Molise, e Sicilia. È forte la frammentazione orizzontale, con centinaia di comuni che intervengono direttamente sulla gestione delle infrastrutture e l’erogazione del servizio e si sottraggono al monitoraggio dell’Autorità. Questo scenario si riverbera negativamente sulla qualità del servizio e su tutele dei diritti dei consumatori come l’erogazione dei bonus idrici.

Come si può intervenire? È un compito che va oltre la regolazione?

In aree caratterizzate dalla piccola scala dimensionale emerge un forte bisogno di sinergie che possono arrivare da aggregazioni territoriali. Sarebbero utili per gestire l’attività di captazione da fonti concentrate e per costruire grandi opere infrastrutturali: invasi, adduzioni, collettori fognari e impianti di depurazione. Le piccole realtà non hanno adeguata capacità di spesa e capacità amministrative per bandire le gare, anche nel caso in cui siano stanziati da fondi pubblici.

Serve un intervento del legislatore o del governo?

Penso che la sessione in cui si discuteranno i disegni di legge sull’acqua possa essere l’occasione per un intervento di messa in sicurezza dei territori del Sud. Il legislatore dovrebbe supportare il lavoro di regolazione dell’Autorità e contribuire a creare nel Sud gestioni meno frammentate e più efficienti, in linea con la riforma del 1994. Un’azienda di Stato potrebbe partire dalla realizzazione delle necessarie opere infrastrutturali, con una dotazione di adeguate risorse finanziarie pubbliche, indispensabili in territori dove la leva tariffaria è “spuntata” da elevati tassi di morosità, non di rado al livello del 50%.

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