Appalti

Partecipate, sul «controllo pubblico» la Corte conti inverte l’onere della prova

di Stefano Pozzoli

Il tema del controllo nelle società a partecipazione pubblica continua, inevitabilmente, a fare discutere dottrina e giurisprudenza. Tutto ciò è diretta conseguenza del sovrapporsi di visioni civilistica e amministrativa e, diciamolo pure, dei diversi interessi in gioco.

La novità
La delibera della Corte dei conti a Sezioni riunite in sede di controllo n. 11/2019 tenta di trovare un equilibrio più stabile alla questione, di fatto contraddicendo l'altrettanto recente indirizzo delle Sezioni riunite ma in sede giurisdizionale, che con sentenza 16/2019 ha statuito che ai fini del controllo pubblico, occorre trovarne i contenuti essenziali nello statuto e nei patti parasociali.
La tesi del «controllo», invece, è diametralmente opposta: per avere controllo pubblico è sufficiente che vi sia una maggioranza pubblica a meno che, nel caso di società mista, non si dimostri, con statuto e patti parasociali, il contrario. Si introduce, in sostanza, una sorta di «inversione dell'onere della prova».
Per quanto autorevolissime e da prendere nella necessaria considerazione, le due sentenze sono poco convincenti entrambe. La prima perché, ove le si voglia attribuire un valore generale, rischia di risultare troppo formalistica e di prestarsi a facili elusioni; la seconda, ancorché di mediazione, in quanto forza eccessivamente la lettera della norma (artiocolo 2 del Tusp) e, soprattutto, è debole sotto il profilo civilistico, nella cui visione il controllo è un'eccezione e non ammette l'esistenza di un mero dato parametrico (la proprietà delle quote) a meno che non ci si trovi nel caso di per sé ovvio, in cui un solo azionista detenga la maggioranza delle quote in assemblea, e non si abbiano altri condizionamenti.

Il timore
È comprensibile, certo, che si voglia evitare la fuga dal controllo delle società pubbliche, perché altrimenti si vanificherebbe il ruolo del testo unico Madia e di molte norme di finanza pubblica, ma questo fine, condivisibilissimo, deve essere perseguito senza forzare le disposizioni di legge, che da una parte sono molto puntuali, prevedendo solo patti parasociali che tocchino punti ben determinati, dall'altra dimenticano che questi patti non sono sottoposti, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, a obblighi pubblicitari particolari e pertanto non sono necessariamente pubblici, anche se ciò comporterebbe un mancato rispetto del Tuel, che ne affida la competenza al consiglio comunale.
In ogni caso troviamo convincente chi, come la struttura del Mef (articolo 15 del Tusp) non esclude la possibilità di andare a vedere i comportamenti, e richiede di non limitarsi alle carte. Inutile eludere la questione: non ci sono ricette, occorre verificare i singoli casi. È destinato a restare deluso chi spera di trovare un numero, un algoritmo o un qualche automatismo che consenta di dire se una società è a controllo pubblico o meno.

Il senso del controllo
Interessante, piuttosto, soffermarsi sul senso, se non del controllo, quanto meno della influenza notevole su una società. Questo è il fondamento della partecipazione per una pubblica amministrazione che per prima cosa deve verificare se la società sia strettamente necessaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali (articolo 4, comma 1).
E, ome osserva correttamente il Consiglio di Stato (Sezione V, sentenza n. 578/2019) «una partecipazione pulviscolare è in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di effettivamente incidere sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa (come in precedenza ricostruito) in presenza di interessi contrastanti e, in ultimo, impeditivi».
Proprio per tale ordine di considerazioni il tema che dovrebbero porsi le pubbliche amministrazioni è proprio essere quello di come partecipare ed organizzare il controllo, pubblico o pubblico-privato che sia, perché è chiaro che senza capacità di influenzare l'andamento della società viene meno la ragione fondante la partecipazione, anche quando si tratti di attività astrattamente ammessa.
Il controllo societario, quando non c'è, va promosso e organizzato. Al contrario cercare di evitarlo è un atteggiamento miope, destinato presto o tardi a essere causa di problemi più importanti di quelli che si spera di evitare eludendo la questione.

La delibera delle Sezioni riunitedella Corte dei conti - controllo - n. 11/2019

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