Appalti

Società a controllo pubblico, le Sezioni riunite tornano ai «fatti concludenti»

di Roberto Camporesi e Nicola Tonveronachi

La questione del controllo previsto dal Dlgs 175/2016 (Testo unico delle società a partecipazione pubblica) è argomento delicato e anche la Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale, con la sentenza n. 17/2019 si è pronunciata.

I 5 profili del controllo
Il punto incontrovertibile è che il testo unico si discosta dalla definizione del controllo, prevista dalla disciplina generale delle società contenuta nell'articolo 2359 del codice civile e la questione ruota attorno al combinato disposto dell'articolo 1, comma 2, lettera m) e b) del Tusp medesimo: vale dire, si ha controllo secondo il Tusp (cosiddetto "pubblico") nei seguenti casi: 1) quando ricorre la circostanza dell'articolo 2359, comma 1, punto 1), del codice civile (cosiddetto controllo di diritto); 2) quando ricorre la circostanza dell'articolo 2359, comma 1, punto 2), del codice civile (cosiddetto controllo di fatto); 3) quanto ricorre la circostanza dell'articolo 2359, comma 1, punto 3), del codice civile (cosiddetto controllo esterno o contrattuale); 4) in base all'articolo 2, comma 1, lettera b), seconda parte del Tusp, quando si verifica che: «in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo» che rappresenta una deroga al codice civile in quanto ammette il «controllo debole» attraverso un patto di sindacato «noto in dottrina come patto a controllo plurimo disgiunto»; 5) nelle situazioni non contemplate dal punto 4), quando anche per «fatti concludenti» possa ravvisarsi la sussistenza stabile di una influenza dominante che si traduca nella possibilità di imprimere una direzione unitaria.

La sentenza
La Corte dei conti (con la sentenza n. 17/2019) ha osservato infatti che la situazione di controllo pubblico «deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali (la cui esistenza può in determinate circostanze desumersi da "comportamenti concludenti") che, richiedendo il consenso unanime o maggioritario di alcune delle Pubbliche Amministrazioni partecipanti, determina la capacità di tali Pubbliche Amministrazioni di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della Società».
Lo stesso articolo 2431-bis del codice civile ammette l'esistenza di patti parasociali non in forma scritta e quindi dimostrabili per fatti concludenti. Peraltro i patti parasociali, previsti dall'articolo 16 del Tusp, erano ritenuti legittimi e necessari già prima del Tusp per l'esercizio del «controllo analogo congiunto» (Consiglio di Stato, Sezione V, n. 7092/2010).
Ciò determina che la società in house a controllo analogo congiunto, ai fini della qualificazione del controllo pubblico secondo il Tusp, ricada nella fattispecie sopra illustrate ai punti 4) o 5) e la lettura offerta dalla Corte dei conti rende coerente il Tusp con le disposizioni sull'affidamento dei servizi contenute nel Dlgs 50/2016 (Codice dei Contratti pubblici) che all'articolo 5 (Contratti esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione), indica specificatamente anche il modello «in house providing» a «controllo analogo congiunto». L'interpretazione consente di superare un paradosso: ovvero, come potrebbe legittimamente operare una società in house providing in base all'articolo 16 del Tusp senza qualificarsi come «società a controllo pubblico» nel caso in cui eserciti servizi pubblici locali, servizi strumentali, o funzioni amministrative su delega, in affidamento diretto/concessione attribuito dagli enti locali soci senza aver esperito precedentemente una gara pubblica in base al codice dei contratti pubblici"? Data la rilevanza della questione è auspicabile che l'interpretazione venga supportata anche da un chiarimento in sede legislativa.

La sentenza della Corte dei conti a Sezioni riunite n. 17/2019

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