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Danni alla macchina causati dal cane randagio, non è automatico il rimborso della Asl

di Federico Gavioli

La Corte di cassazione con la sentenza n. 19404/2019, ha accolto il ricorso di una azienda sanitaria nei confronti di un ente locale e di un automobilista coinvolto nell'incidente; per i giudici di legittimità l'azienda sanitaria locale è tenuta a risarcire i danni patiti dal veicolo privato dopo l'impatto con un cane randagio sulla pubblica strada solo se è acquisita prova dell'esistenza di precedenti segnalazioni della presenza abituale di animali randagi, nel luogo dell'incidente.

Il fatto
La Corte di appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva condannato l'azienda sanitaria provinciale al pagamento, in favore di un automobilista, dell'importo di poco meno di 10mila euro, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni subiti dal mezzo di proprietà di quest'ultimo, in conseguenza del sinistro avuto a causa di un cane randagio.
La Corte ha, infatti, ritenuto che la colpa del sinistro fosse ascrivibile alla azienda sanitaria e non al Comune, perché l'azienda sanitaria aveva omesso di esercitare i poteri di vigilanza e controllo del fenomeno del randagismo. Contro la decisione l'azienda sanitaria ha proposto ricorso in Cassazione.

L'analisi dei giudici di legittimità
La Corte di cassazione ha in più occasioni affermato, che la responsabilità per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente, nel concorso degli altri presupposti, all'ente, o agli enti, cui è attribuito dalla legge (e in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale 281/1991) il compito di prevenire il pericolo specifico per l'incolumità della popolazione connesso al randagismo e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi.
Il principio non può che essere qui ribadito poiché l'attribuzione per legge a uno o più determinati enti pubblici del compito della cattura e, quindi, della custodia degli animali vaganti o randagi (e cioè liberi e privi di proprietario) costituisce il fondamento della responsabilità per i danni eventualmente arrecati alla popolazione dai randagi, anche per quanto riguarda i profili civilistici conseguenti all'inosservanza di detti obblighi di cattura e custodia.
La legge quadro statale 281/1991 non indica direttamente a quale ente spetta il compito di cattura e custodia dei cani randagi, ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, occorre analizzare la normativa regionale, caso per caso.
In Calabria, come ha correttamente affermato la sentenza impugnata, questa competenza risulta chiaramente attribuita al servizio veterinario istituito e, dalla normativa, si evince chiaramente che la competenza in relazione alla cattura e custodia dei cani vaganti o randagi compete al servizio veterinario dell'azienda sanitaria provinciale.
La Cassazione, tuttavia, come ha già affermato in recenti orientamenti giurisprudenziali ai quali intende dare seguito, ha ritenuto che ai fini dell'affermazione della responsabilità per i danni cagionati da un animale randagio, non basta che la normativa regionale abbia individuato l'ente a cui è attribuito il compito di controllo e di gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura e alla custodia degli animali randagi, occorrendo anche che chi si assume danneggiato, in base alle regole generali, alleghi e dimostri il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall'ente e la riconducibilità dell'evento dannoso al mancato adempimento di questa condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva.
Per i giudici di legittimità la responsabilità dell'ente va affermata solo previa individuazione del concreto comportamento colposo a esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell'evento dannoso.
Entro questo perimetro va verificato il tipo di comportamento esigibile volta per volta e in concreto dall'ente preposto dalla legge al controllo e alla gestione del fenomeno del randagismo, in modo da dedurne la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile, quest'ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l'alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo.
Per la Cassazione, premessa la prevedibilità dell'attraversamento della strada da parte di un animale randagio essendo un evento puramente naturale, l'esistenza di un obbligo in capo all'ente che ne è gravato di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che per imputare a titolo di colpa un evento dannoso non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento e in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell'agente.

La sentenza della Corte di cassazione n. 19404/2019

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