Appalti

Troppe implicazioni giuridiche: serve maggiore cautela

Il tema degli interventi in materia di concessioni autostradali è entrato nella discussione volta a definire gli obiettivi del nuovo governo, in particolare con riguardo all'esigenza, strategica, di promuovere gli investimenti nelle infrastrutture.

In questo contesto riaffiora anche l'ipotesi, da taluni invocata, di una “revoca” della concessione ad Autostrade per l'Italia.

In termini giuridici la questione si colloca in un orizzonte diverso da quello delle responsabilità, personali e istituzionali, per una tragedia che ha scosso la comunità nazionale. Gli accertamenti dai quali dovranno trovare risposta le attese di giustizia sono in corso nelle sedi appropriate. Le ricadute sul piano del rapporto concessorio seguono invece altri percorsi e vanno valutate alla luce delle regole che lo governano, ossia della Convenzione tra MIT e ASPI, che definisce i presupposti e le procedure che possono condurre all'estinzione anticipata della concessione.

La disciplina pattizia costituisce la lex specialis del rapporto e deve applicarsi prioritariamente rispetto agli strumenti generali, sia perché simili previsioni rientrano nell'autonomia negoziale delle parti, sia perché gli schemi delle convenzioni autostradali furono a suo tempo, nel 2008, approvati con apposita legge.

Occorrerà allora verificare se quanto accaduto – una volta accertate le cause e la loro imputabilità – possa giustificare lo scioglimento del rapporto oppure comporti l'applicazione di rimedi di altra natura, quali l'obbligo di ripristino o di risarcimento del danno.

E' stata avanzata, nel parere del Gruppo di Lavoro interistituzionale nominato dal MIT (pubblicato sul sito del ministero), un'argomentazione che mira ad isolare un'autonoma obbligazione di custodire per dedurne che, per effetto del crollo del Ponte Morandi, il concessionario sarebbe già oggi definitivamente inadempiente all'obbligo di consegnare la rete integra al termine della concessione: ciò legittimerebbe l'immediata decadenza o risoluzione della concessione stessa. La tesi lascia perplessi perché, oltre a fondarsi su una certa forzatura tecnico-giuridica, quanto alla ricostruzione dell'obbligazione di custodia e futura consegna in capo al concessionario, trascura la specificità del rapporto concessorio e del suo oggetto, ossia il complessivo sistema infrastrutturale. Si tratta di una realtà dinamica, che al termine del rapporto deve essere consegnata in condizioni di efficienza, ma non identica a quella che era all'inizio: il concessionario non è tenuto alla pura conservazione, bensì a compiere un'attività di gestione di un complesso aziendale che implica interventi anche modificativi.

E anche se si guardi ad una singola struttura, oggetto di riconsegna è appunto la struttura, non l'identità dei materiali che la costituiscono; essa dunque potrebbe essere demolita e ricostruita, identica a quella preesistente o rinnovata.

Ciò non porta a concludere che un fatto eclatante come il crollo del ponte sia irrilevante. Fermo l'obbligo di ripristinare l'integrità della rete (che a quanto consta ASPI sta adempiendo, finanziando la ricostruzione del ponte), l'alterazione del servizio che ne è derivata potrà essere valutata nella prospettiva della corretta esecuzione delle prestazioni del concessionario, a condizione che ne vengano accertate le responsabilità.

Un'altra discussa questione riguarda l'indennizzo spettante al concessionario. La clausola appartiene fin dalle origini al modello della concessione di costruzione e gestione. E' infatti una misura perequativa: l'operatore esegue investimenti destinati ad essere remunerati dai ricavi conseguibili durante l'esercizio, perciò, se il rapporto si interrompe prima del termine, gli va riconosciuto un indennizzo, altrimenti subirebbe un sostanziale esproprio (viceversa, sopraggiunta la naturale scadenza, la Convenzione prevede la devoluzione gratuita). E ciò vale anche nel caso di estinzione anticipata per inadempimento, proprio perché si tratta di uno strumento di riequilibrio economico, “neutro” rispetto a qualsiasi giudizio di imputabilità.

Non si tratta di una situazione eccezionale o anomala: il codice civile stabilisce per regola generale che anche la parte inadempiente ha diritto alla restituzione di quanto abbia dato in esecuzione del contratto risolto per sua colpa.

Spesso l'importo dell'indennizzo spettante al concessionario è calcolato in funzione degli investimenti eseguiti e non ammortizzati; in questo caso in funzione dei ricavi futuri, con una serie di aggiustamenti. Non ho le competenze per valutarne la congruità economica; dal punto di vista giuridico si tratta di due criteri entrambi legittimi e rimessi all'autonomia delle parti.

Peraltro in caso di decadenza del concessionario è prevista l'automatica applicazione di una penale pari ad un decimo dell'indennizzo e il risarcimento dell'eventuale danno superiore a quell'importo. Pertanto si deve escludere che nella specie sia stato predisposto un meccanismo di esonero del concessionario da responsabilità, non essendovi ostacoli a un integrale risarcimento del danno.

In definitiva, lo scenario dello scioglimento anticipato presenta questioni giuridiche delicate e complesse, che rendono certamente più coerente con l'interesse generale, rispetto alla via contenziosa, quella di una rinegoziazione volta a ridefinire i termini del rapporto convenzionale in una prospettiva di sistema e di lungo periodo, come realisticamente evidenziato anche nel citato parere del Gruppo di Lavoro. In questo senso la tragedia del Ponte Morandi può costituire l'occasione per una modernizzazione del modello delle concessioni autostradali.

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