Appalti

Società in house, decide la Corte dei conti anche senza affidamento diretto

di Michele Nico

La giurisdizione della Corte dei conti si estende alla società in house, anche se essa ha ottenuto la gestione del servizio non già in base a un affidamento diretto, bensì in forza di un contratto d'appalto stipulato in esito a una procedura di gara. Questo il principio affermato dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 21871/2019, che ha confermato il danno erariale, per l'importo di 200 mila euro oltre accessori, a carico di una società in house titolare della gestione del servizio rifiuti sul territorio comunale, a causa della prolungata omissione della raccolta differenziata dei rifiuti.

Il fatto
Il danno emerso in relazione a questa fattispecie era stato configurato dalla Corte dei conti I sezione giurisdizionale centrale d'appello sotto il duplice profilo del mancato raggiungimento delle percentuali minime prescritte e del mancato introito della vendita di materiale riciclabile, tenuto conto altresì dei maggiori costi di smaltimento dei rifiuti conferiti in discarica.
La società in house ha impugnato la sentenza con ricorso in Cassazione sollevando un'eccezione connessa al titolo che legittimava la gestione del servizio pubblico svolto a favore del Comune, che non era costituito da un affidamento diretto in base all'articolo 16 del Dlgs 175/2016 e articolo 5 del Dlgs 50/2016, bensì dall'aggiudicazione di un appalto al quale la società aveva partecipato in qualità di mandataria in Ati con un'altra impresa del settore.
Sotto questo profilo, la difesa della società ha argomentato in giudizio che la Corte d'appello avrebbe erroneamente desunto la sussistenza di un rapporto di servizio «senza tenere conto che nella specie il rapporto tra [la società] e il Comune (…) avrebbe natura contrattuale privatistica essendo derivato da un contratto di appalto pubblico, non da un provvedimento amministrativo di concessione».

La sentenza
L'argomentazione non è stata condivisa dalla Cassazione che ha rigettato il ricorso proposto confermando in toto il verdetto di condanna.
Il punto è che la giurisdizione contabile nei confronti delle società in house non si radica, sotto il profilo giuridico, esclusivamente in base al «controllo analogo» e al disposto di cui all'articolo 12, comma 1, del Dlgs 175/2016, che fa «salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house».
Infatti, secondo i principi generali il presupposto che legittima la giurisdizione contabile permane il rapporto di servizio con un soggetto terzo legato da un vincolo giuridico con la Pubblica amministrazione.
Si osserva che la responsabilità amministrativa si configura, di norma, in relazione a una condotta dolosa o gravemente colposa, posta in essere da un soggetto collegato da un rapporto di servizio con la Pa, che abbia causato un danno risarcibile quale conseguenza diretta della condotta stessa.
Ciò che rileva, ai fini della responsabilità amministrativa, non è tanto la violazione di legittimità in cui sia incorso un atto o di un comportamento posto in essere da pubblici funzionari e/o amministratori, quanto il fatto che da un loro comportamento sia sostanzialmente derivato un danno patrimoniale per l'ente.
Rispetto al danno erariale emerso si rileva, per inciso, che esso può essere diretto o indiretto, a seconda che l'ente pubblico abbia subito direttamente il danno da un proprio amministratore o dipendente, oppure, nel caso di danno indiretto, allorché l'ente debba risarcire soggetti terzi, in ragione del danno cagionato da propri amministratori o dipendenti.
Ricollegandosi alla nozione del rapporto di servizio, i giudici sostengono che questo presupposto ricorre «allorché un ente privato esterno all'amministrazione venga incaricato di svolgere, nell'interesse di quest'ultima e con risorse pubbliche, un'attività o un servizio pubblico in sua vece, in tal modo inserendosi pur temporalmente nell'apparato organizzativo della Pa».
Da questo punto di vista, sottolinea il collegio, «resta irrilevante il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto».
Da quanto sopra esposto deriva che, integrando certamente un rapporto di servizio con la Pa lo svolgimento continuativo del servizio di raccolta rifiuti sul territorio, la condanna alla società in house è stata confermata.

La sentenza della Corte di cassazione n. 21871/2019

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