Appalti

Servizi pubblici, le aziende speciali tornano in campo sugli affidamenti diretti

di Stefano Pozzoli

Una delle questioni più dibattute in tema di società partecipate riguarda l'impossibilità (articolo 14, comma 6, del Tusp) per un ente pubblico di affidare direttamente a un proprio organismo in house lo stesso servizio che in precedenza era svolto da una propria controllata però fallita.
Se ne è occupato il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 5444/2019, che ha riguardato il Comune di Latina. Fallita la vecchia società mista di gestione dei rifiuti, che controllava, il Comune ha costituito una nuova azienda speciale, alla quale ha affidato il servizio dopo aver acquistato il ramo d'azienda dalla curatela della vecchia controllata.

La tesi di Palazzo Spada
La tesi del Consiglio di Stato è che il comune possa gestire il servizio pubblico già affidato alla società dichiarata fallita mediante modelli di gestione diversi quale, nel caso di specie, l'azienda speciale.
Infatti «l'espresso riferimento a una delle modalità di gestione del servizio pubblico - la società a partecipazione pubblica (…) - porta ad escludere dal divieto le altre modalità, per la presunzione dell'uso preciso e consapevole da parte del legislatore dell'espressioni contenute nelle norme». Tanto più che «l'estensione del divieto ad altre modalità di gestione del servizio pubblico potrebbe avvenire solo attraverso un'interpretazione analogica, ma la norma è derogatoria dell'ordinaria capacità d'agire delle amministrazioni pubbliche e, per questo, ne è vietata l'interpretazione analogica ai sensi dell'articolo 14 delle preleggi: in breve, il divieto non può essere esteso a casi diversi da quello cui espressamente si riferisce».
La motivazione, per il Consiglio di Stato, non è solo giuridica, ma sta anche nello spirito della norma. Infatti, il divieto previsto dall'articolo 14, comma 6 «non va inteso alla stregua di una sanzione comminata all'amministrazione pubblica di dismettere temporaneamente la veste di imprenditore pubblico, ma, in maniera più calibrata, come obbligo di ricorre a modalità di gestione del servizio pubblico, avente ad oggetto la produzione di beni e l'erogazione di servizi, diverse dalla società a partecipazione pubblica al fine di un miglior investimento delle risorse pubbliche».
La conclusione, dunque, è che non c'è stata alcuna violazione di norma.

Una facile sponda elusiva
Senza entrare nel merito della decisione, a nostro giudizio giuridicamente ineccepibile, è chiaro che questa sentenza aggiunge un ulteriore tassello alla rivalutazione delle aziende speciali quale strumento di gestione anche dei servizi di interesse economico generale. Questo in primo luogo perché consente di superare i vincoli del testo unico società partecipate, rendendo così più semplice le formalità necessaria sia per quanto riguarda la costituzione delle società, sia per la loro razionalizzazione. È chiaro, però, che la possibilità di ricorrere alle aziende speciali di fatto riduce l'incisività delle disposizioni del Tusp, offrendo, in molti casi, una facile sponda elusiva, non priva di conseguenze.
Gli effetti sul perimetro del Tusp sono chiari. È bene però soffermarsi sulla necessità di aggiornare le disposizioni in materia di aziende speciali, oggi scarne e obsolete. Questa figura giuridica oggi trova una sintetica regolamentazione nell'articolo 114 del Tuel (Dlgs 267/2000), ancorché recentemente novellato dal Dlgs 118/2011 e sue modificazioni, ma le regole di funzionamento si ritrovano in una legislazione risalente a metà degli anni '80 (Dpr n. 902/1986).

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5444/2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©