Appalti

Asl e Comune rispondono dei danni causati da un cane randagio a un motociclista

di Federico Gavioli

Azienda sanitaria locale e Comune rispondono in solido per i danni causati ad un motociclista da un incidente stradale a seguito di un cane randagio che gli ha attraversato la strada. I due enti sono chiamati a prevenire, in base alla legge nazionale e regionale, il fenomeno del randagismo e non è rilevante che il fatto che non c'erano segnali di pericolo nella zona in cui è avvenuto il sinistro.
La Corte di cassazione con l'ordinanza n. 23633/2019, ha rigettato il ricorso di un ente locale nei confronti di motociclista che aveva subito il sinistro.

Il fatto
Un motociclista ha chiamato in causa una Asl e il Comune per chiedergli, in base agli articoli 2043 e 2051 del codice civile, in solido tra loro, il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro avvenuto con un cane randagio che aveva attraversato improvvisamente la strada.
L'Asl si è difesa eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e, comunque, contestando al Comune di non aver adottato tutte le misure e i presidi atti a rimuovere dal proprio territorio il pericolo rappresentato dai cani randagi, nonché affermando la propria estraneità a ogni profilo di responsabilità, poiché l'incidente non è stato preceduto da alcuna segnalazione da parte del Comune circa la presenza, in quell'area, di cani randagi. Il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria del centauro e condanno in solido Comune e Asl. La decisione è stata confermata anche in Appello. L'Asl contro la sentenza sfavorevole è ricorsa in Cassazione.

L'analisi dei giudici di legittimità
I giudici di legittimità hanno ritenuto infondate le motivazioni del ricorso dell'Asl. Per la Corte, che ha seguito un recente e consolidato orientamento giurisprudenziale, la responsabilità per i danni causati dai cani randagi è degli enti ai quali compete per legge (e in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale 281/1991) il compito di prevenire il pericolo specifico per l'incolumità della popolazione connesso al randagismo.
L'attribuzione per legge a uno o più enti del compito della cattura e della custodia degli animali vaganti o randagi (e cioè liberi e privi di proprietario) può, infatti, considerarsi il fondamento della responsabilità per i danni eventualmente arrecati alla popolazione dagli animali suddetti, anche sotto l'aspetto della responsabilità civile.
Per i giudici di legittimità non può, invece, ritenersi sufficiente, a questo fine, l'attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, e a maggior ragione di semplici compiti di controllo delle nascite della popolazione canina e felina. Queste ultime competenze, in particolare, non possono ritenersi direttamente riferibili alla prevenzione dello specifico rischio per l'incolumità della popolazione derivante dalla eventuale pericolosità degli animali randagi, e non possono quindi fondare una responsabilità civile per i danni da questi ultimi arrecati, avendo a oggetto il solo controllo «numerico» della popolazione canina, a fini di igiene e profilassi e, al più, una sola generica e indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo.
Per la Corte di cassazione il fondamento della responsabilità delle aziende Usl, i cui servizi veterinari devono collaborare (come nel caso in esame previsto dalla legge della Regione Lazio) alla tenuta dei canili pubblici gestiti dai comuni, è rinvenibile negli obblighi cattura e, quindi, custodia dei cani privi di proprietario, la cui violazione è rilevante anche quanto ai profili civilistici.
La Corte di cassazione, ha anche precisato che contrariamente da quanto sostenuto dalla Asl ricorrente, la competenza in relazione alla cattura e custodia dei cani vaganti non è in alcun modo condizionata al fatto che il Comune o altri enti o privati cittadini segnalino l'esistenza di cani randagi da accalappiare.

L'ordinanza della Corte di cassazione n. 23633/2019

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