Appalti

Infrastrutture del gas, il blocco delle gare frena gli investimenti

di Michele Nico

Con il provvedimento As1619, l'Antitrust ha censurato alcune clausole del bando di gara per l'affidamento in concessione del servizio di distribuzione del gas naturale nell'ambito territoriale della città di Napoli e relativo impianto costiero.
L'Agcm ha ravvisato l'illegittimità del bando, in quanto suscettibile di comportare un'ingiustificata restrizione alla partecipazione alla procedura da parte degli operatori economici del settore.
In altre parole, alcune clausole sarebbero state scritte in maniera da assicurare un indebito vantaggio competitivo del gestore uscente sui potenziali concorrenti, con l'effetto di impedire un equo confronto delle offerte in gara.
L'autorità ha censurato, in particolare, la previsione di un termine troppo ravvicinato per la presentazione delle offerte, nonché la mancata messa a disposizione, a favore dei potenziali concorrenti, di informazioni cruciali per la predisposizione dell'offerta tecnica.
Nel provvedimento sono evidenziati ulteriori aspetti di criticità riguardanti i criteri di valutazione dell'offerta economica, che secondo l'Agcm «possono incidere negativamente sugli incentivi dei potenziali partecipanti alla gara, traducendosi, in ultima analisi, in barriere all'accesso idonee ad ostacolare la presentazione delle offerte».
Regole del bando da riscrivere e una gara tutta da rifare per l'affidamento in concessione di un servizio che, ovunque in Italia, stenta a decollare verso la liberalizzazione, anche, ma non solo, a causa di una normativa di settore caotica e farraginosa.
Si osserva, infatti, che le barriere all'ingresso di nuovi operatori nel mercato del gas non dipendono esclusivamente dalle condizioni di accesso e dai nodi della disciplina di settore (valore residuo da riconoscere al concessionario uscente, calcolo della remunerazione degli investimenti da attribuire alla tariffa, ecc.), ma anche dalla condotta degli incumbent, che per decenni hanno gestito il servizio in condizioni di monopolio legale e che oggi ostacolano in molti casi lo svolgimento delle procedure, con condotte anticoncorrenziali volte a bloccare, o quanto meno a ritardare, il momento del confronto competitivo.

Il quadro normativo
L'odierna situazione di stallo che si registra in molte zone del territorio nazionale sembra porsi in rotta di collisione con la ratio legis della norma originaria, l'articolo 46-bis del Dl 159/2007, convertito in legge 222/2007, che puntava a una semplificazione delle gestioni esistenti con l'intento di assegnare a pochi grandi operatori privati la maggior parte degli Atem, estromettendo dal ruolo gestionale gli enti locali e i piccoli operatori, considerati inaffidabili e inefficienti.
In linea con questo dettato normativo, il Dm 226/2011 ha fissato i criteri della riforma del settore, disponendo la messa a gara del servizio di distribuzione nei nuovi «ambiti territoriali minimi» (177 Atem), al fine di individuare gestori in grado di rendere «efficiente» e «competitivo» il servizio.
In esito al processo delineato, le precedenti concessioni dovevano considerarsi scadute a decorrere da una certa data, per essere sostituite da quelle nuove a durata pluriennale, via via che le singole gare fossero esperite.

Il problema degli investimenti
Poi le cose sono andate diversamente, con il risultato che ai nostri giorni la riforma è per lo più rimasta sulla carta e, di conseguenza, la gran parte degli operatori titolari delle concessioni scadute gestiscono il servizio senza fare investimenti, o limitandoli comunque al minimo indispensabile, per il fatto di non sapere se e quando questi investimenti potranno essere riconosciuti in tariffa (o in cassa, nel caso di perdita della concessione).
Di qui il rischio di una progressiva obsolescenza degli impianti, con tutte le conseguenze che ciò potrebbe comportare in termini di minore sicurezza e d'impatto negativo sullo sviluppo economico.
Nel quadro delle considerazioni sopra esposte, l'Agcm ha evidenzito le criticità connesse a una determinata procedura, ma, come si è detto, il problema di fondo è ben più ampio e strutturale, dacché la liberalizzazione del settore è ancora ai primi passi e non ha ancora scalfito in modo significativo l'ambito pubblico dei monopoli naturali.

Il parere dell'Antitrust n. 1619/2019

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