Appalti

Per le aziende speciali uno sviluppo senza regole

di Stefano Pozzoli

L'azienda speciale, fino a poco tempo fa, pareva delegata alla marginalità, ormai soppiantata dalla più moderna forma della società di capitale. Se fino a qualche anno fa chi scrive avesse dovuto fare una scommessa sul futuro di questa figura giuridica, avrebbe probabilmente buttato le proprie fiches sulla sua estinzione, di diritto o di fatto. Deponevano in questa direzione le modifiche inserite nell'articolo 115 del Tuel dalla legge finanziaria 2002 (articolo 35, comma 12, lettera d) della legge 448/2001) e la definizione delle forme obbligatorie di gestione presenti nell'articolo 113, comma 5 del Tuel, nella formulazione poi abrogata nel 2010 (articolo 12, comma 1, lettera a)del Dpr 168/ 2010) che escludeva il ricorso all'azienda speciale nei servizi a rilevanza economica. Anche in ragione di questa aspettativa di inevitabile declino l'azienda speciale è rimasta priva di manutenzione normativa e le sue regole di funzionamento si ritrovano, oltre che all'articolo 114 del Tuel, nell'ormai datato Dpr 902/1986, che resta, per le parti non incompatibili con il Tuel, la vera fonte normativa di riferimento.

Il Dpr 902/1986 è un testo forse anche avanzato per l'epoca in cui è stato approvato ma oggi, sotto molti aspetti, non è più al passo coi tempi. In esso si immagina un modello di gestione lento e burocratico, che mal si adatta alle esigenze decisionali delle imprese, soprattutto quando queste sono di ambito, e quindi partecipate da più Comuni.

Occorre infatti ricordare che, negli anni 80, le aziende erano per lo più mono-comunali e, di conseguenza, le aziende "consortili" erano eccezione e non regola. Non è un caso che ancora oggi le esperienze principali in materia di aziende speciali siano mono-comunali. È così anche Abc, l'azienda speciale dei servizi idrici di Napoli, che spesso viene portata a esempio del fenomeno.

Nel contesto attuale, e in particolare nei servizi a rete, la regola è invece quella delle imprese collettive, con una pluralità di soci, contesto a cui l'azienda speciale consortile reagisce faticosamente.

A fronte del quesito di un Comune in merito all'approvazione del bilancio, per citare un esempio, la Sezione di controllo per la Lombardia della Corte dei conti (deliberazione n. 283/2017) si è espressa così: «Il bilancio del consorzio deve essere approvato dall'organo consortile in cui hanno rappresentanza tutti i rappresentanti degli enti locali (l'assemblea consortile) e, poi, detto bilancio deve essere 'approvato' da ciascun consiglio comunale, deliberazione quest'ultima che rappresenta a tutti gli effetti un allegato del bilancio dell'azienda speciale».

Si ricorda, per altro, che, secondo la circolare del Mise 3669/2014 «le aziende speciali sono tenute a depositare nel registro delle imprese il proprio bilancio di esercizio redatto nel formato tecnico elaborabile (Xbrl) di cui al Dpcm del 10 dicembre 2008, entro il 31 maggio di ciascun anno. Vanno inoltre allegati, la nota integrativa al bilancio, la relazione di gestione degli amministratori, la relazione dell'organo di revisione dell'azienda speciale e la delibera di approvazione del bilancio da parte dell'ente locale».

Chiaro che, sul piano pratico, il bilancio rischia di diventare uno scoglio oggettivo sia per gli adempimenti aziendali che per gli stessi consigli comunali. Ne vale la pena, a fronte del fatto che a una società in house si possono imporre più o meno le stesse regole che valgono sulle aziende speciali? Ovviamente la scelta rientra nella discrezionalità politica dei Comuni, ma è altrettanto chiaro che l'azienda speciale è uno strumento giuridico e gestionale e, come tale, va inquadrato nel contesto in cui ci si trova a operare.

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