Appalti

Partecipate, nullo il bando per la nomina dei sindaci se il compenso è inferiore ai minimi tariffari

di Michele Nico

È nullo il bando per la nomina dell'organo di controllo di una società partecipata, se la remunerazione per l'incarico è inferiore ai minimi tariffari e, in ogni caso, se l'ente socio non è giunto alla determinazione dei compensi facendo applicazione del principio dell'equo compenso nei termini prescritti dall'articolo 13-bis, comma 2, della legge 247/2012. Lo ha stabilito il Tar Marche, con la sentenza n. 761/2019. La decisione apre un nuovo fronte di attenzione nei rapporti tra enti locali e società pubbliche, imponendo ulteriori oneri di verifica a carico della Pa in sede di individuazione dei rappresentanti nelle partecipate, per evitare il rischio di nullità delle nomine con le gravi conseguenze che ciò comporta.

La decisione
I giudici si sono pronunciati sul bando per l'acquisizione delle candidature pubblicato da una Provincia che, nella veste di socio pubblico di una società in house, doveva nominare il sindaco unico della partecipata.
Questo bando prevedeva che per lo svolgimento dell'incarico al professionista individuato fosse corrisposto un compenso annuo pari a euro 2000, oltre Iva e Cpa, con la precisazione che dopo la ratifica dell'assemblea il suddetto importo sarebbe stato liquidato dalla società a consuntivo, ossia al termine di ciascun esercizio.
L'avviso pubblico è stato impugnato dall'ordine dei commercialisti ed esperti contabili, che ha contestato la legittimità del compenso fissato al di sotto dei parametri minimi previsti per le competenze professionali di riferimento, in asserita violazione della disciplina sull'equo compenso previsto dal suddetto articolo 13-bis, comma 2, della legge 247/2012.
È il caso di rilevare, sotto il profilo della legittimazione ad agire, che il Tar Marche ha ritenuto ammissibile l'impugnazione da parte dell'ordine professionale, in contrasto con la linea di segno opposto seguita dal Tar Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 412/2019 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 28 ottobre), in relazione al ricorso proposto dall'ordine professionale dei chimici e fisici contro la Regione del Friuli, per l'annullamento di un concorso pubblico relativo alla copertura di un posto di qualifica dirigenziale, profilo professionale tecnico, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il cui bando era stato ritenuto non coerente con le caratteristiche della figura dirigenziale in questione.
In quella sede, il Tar Friuli aveva sostenuto che l'ordine professionale, ancorché rappresentativo degli interessi della categoria, non era legittimato a sindacare la valutazione discrezionale della Pa in ordine ai requisiti e profili individuati per le modalità di reclutamento del personale, stante il fatto che «la situazione soggettiva sottesa al ricorso si identifica con istanze di matrice individuale, corrispondenti all'astratta (…) aspirazione dei laureati in chimica (e in chimica industriale) di partecipare al concorso, le quali, come tali, non possono però essere intestate all'ordine professionale, non essendo omogeneamente diffuse all'interno della categoria da esso rappresentata».
Di contro, il Tar Marche ha aderito alla tesi opposta spingendosi oltretutto ad affermare, in linea con il Tar Puglia (sentenza n. 2647/2015), che «sussiste la legittimazione dell'ordine professionale ad agire contro procedure di evidenza pubblica ritenute lesive dell'interesse istituzionalizzato della categoria da esso rappresentata anche nell'ipotesi in cui possa configurarsi un conflitto d'interessi fra esso Ordine e singoli professionisti in qualche modo beneficiari dell'atto impugnato».

L'equo compenso
Per quanto riguarda il merito della controversia, i giudici hanno focalizzato l'attenzione sull'articolo 13-bis, comma 2, sopra richiamato (inizialmente rivolto ai soli avvocati e poi esteso anche agli altri professionisti a seguito dell'articolo 19-quaterdecies del Dl 148/2017, convertito in legge 172/2017) secondo cui il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.
Nel dichiarare illegittimo il bando impugnato per violazione di legge, il collegio ha sottolineato che «l'ordinamento si preoccupa soprattutto di tutelare il diritto a una retribuzione adeguata dei professionisti lavoratori autonomi nei rapporti con i contraenti cosiddetti "forti" [tra cui la Pa] e nell'ambito di convenzioni unilateralmente predisposte da questi ultimi».
Scrivono ancora i giudici che i parametri dell'equo compenso «non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili (pena la surrettizia introduzione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, abolite dal cosiddetto "decreto Bersani"), ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali».
Fatto sta che il bando per la nomina del sindaco della società in house è stato annullato dal Tar nella parte relativa alla fissazione del compenso, di modo che la pronuncia è un campanello d'allarme per le amministrazioni locali, avvertite del fatto che il conferimento degli incarichi per l'esercizio del controllo nelle partecipate impone il rispetto dei parametri tariffari stabiliti per le categorie professionali.

La sentenza del Tar Marche n. 761/2019

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