Appalti

Servizio idrico, tocca alla Regione restituire la tariffa all'utente se l'impianto non funziona

Se l'impianto di depurazione delle acque non è funzionante, è legittima la richiesta di ripetizione della quota di tariffa versata dall'utente. A restituire quanto indebitamente versato è la Regione che, in qualità di proprietaria dell'impianto, risponde per l'azienda speciale che gestisce il servizio, realizzandosi in tal caso una forma di «cooperazione del terzo nell'inadempimento». Questo è quanto emerge nella sentenza della Cassazione n. 3314, depositata ieri.

La vicenda
Il caso trae origine dalla richiesta con la quale un utente del servizio idrico del Comune di Napoli aveva chiesto la restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo per la depurazione delle acque, a causa del malfunzionamento dell'impianto di depurazione sito a Cuma. La controversia che ne derivava, dinanzi al Giudice di pace prima e al Tribunale poi, vedeva coinvolti diversi soggetti, ovvero l'azienda speciale che gestiva il servizio, lo stesso Comune partenopeo e la Regione Campania, proprietaria degli impianti. Alla base della richiesta di ripetizione dell'indebito c'era la sentenza con cui la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità dell'articolo 14, comma 1, della legge 36/1994 (Disposizioni in materia di risorse idriche) e dell'articolo 155, comma 1, del Dlgs 152/2006 (Testo unico ambientale) i quali prevedevano il pagamento della quota della tariffa anche in caso di impianti «temporaneamente inattivi». Pertanto, posto che l'impianto di depurazione di Cuma era «obsoleto e notoriamente non funzionante», i giudici di merito condannavano alla restituzione del canone in primo grado l'azienda speciale e in appello la Regione.

L'individuazione dell'ente responsabile
La vicenda è giunta di conseguenza in Cassazione, dove l'ente territoriale ha sottolineato l'irrazionalità del verdetto, contestando la sussistenza della giurisdizione ordinaria, le lacune nell'accertamento della mancata funzionalità dell'impianto e finanche la prescrizione della pretesa restitutoria azionata. La Suprema corte ha rigettato però punto per punto i motivi di ricorso della Regione e si sofferma su un importante aspetto della vicenda, relativo alla individuazione della legittimazione passiva dell'ente. La Regione, infatti, lamentava l'errata interpretazione delle norme sulla ripetizione dell'indebito, in quanto la stessa, proprietaria degli impianti, era condannata alla restituzione di una somma incassata dall'azienda speciale, gestrice degli impianti. Dal canto suo, quest'ultima sottolineava il fatto di aver solo riscosso somme per conto della Regione quanto alla quota per la depurazione delle acque, sicché mai avrebbe potuto essere ritenuta responsabile del malfunzionamento dell'impianto di depurazione.

La Regione è l'ente tenuto alla restituzione del canone
I giudici di legittimità hanno confermato la decisione di merito anche su questo punto, seppur correggendo la motivazione, muovendo dalla constatazione che «ove il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata versata, è nei confronti della controparte del contratto di utenza che la pretesa restitutoria va azionata». Da ciò rileva il coinvolgimento dell'azienda speciale, in quanto parte negoziale del contratto di utenza, ma ciò non impedisce di individuare quale responsabile la Regione, ovvero la proprietaria dell'impianto, nonché soggetto deputato a svolgere il servizio di depurazione. La responsabilità, sottolinea il Collegio, si giustifica ex articolo 2043 del codice civile in una forma non sconosciuta alla giurisprudenza di legittimità, ovvero quella della «cooperazione del terzo nell'inadempimento» realizzato dall'azienda speciale, del quale però risulta rispondere direttamente la Regione.

La sentenza della Corte di cassazione n. 3314/2020

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