Appalti

Partecipate, il piano esuberi ci riprova

L’articolo 25, titolato «Disposizioni transitorie in materia di personale», è una delle norme più tormentate del Testo unico delle società partecipate (Dlgs 175/2016) ed è anche stato un insuccesso sotto tutti i punti di vista. L’articolo in questione prevedeva che, entro il 30 settembre 2017, le società a controllo pubblico effettuassero una ricognizione del personale in servizio, per individuare eventuali eccedenze, «anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 24».

L’elenco di tale personale doveva poi essere inviato alla Regione in cui aveva sede la società, secondo le modalità previste da un decreto del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, che è stato emanato con il consueto e prevedibile ritardo, solo a fine 2017 (Decreto 9 novembre 2017, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 299 del 23 dicembre 2017). Cosa più grave è che il comma 4 dell’articolo 25 recitava che fino al 30 giugno 2018, le società a controllo pubblico non potessero procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato se non attingendo, con modalità definite dal decreto, agli elenchi del personale eccedente.

La storia è nota: un grande trambusto, dubbi interpretativi a non finire, tensioni con il sindacato e con i lavoratori. Il tutto per partorire poche centinaia di esuberi in tutta Italia e, di conseguenza, quasi nessuna messa in mobilità e pressoché zero ricollocamenti in altre aziende. In sostanza, la disposizione ha prodotto solo il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato nelle società pubbliche, e questo proprio quando il Governo allora in carica stava in tutti i modi cercando di incentivarle.

Tutto ciò sembrava acqua passata. Invece, con l’approvazione dell’emendamento 1.89 al Milleproroghe 2020 (Dl 162/2019) che ha previsto una incomprensibile e parziale reviviscenza dell’articolo 25, per altro mal coordinata con la disciplina vigente (ad esempio fa salvo il riferimento «a quanto previsto dall’articolo 24», e cioè a una disposizione anch’essa transitoria).

L’articolo 25, per come dovrebbe essere novellato, prevede che entro il 30 settembre di ogni esercizio del triennio 2020-2022 procedere a una ricognizione del personale in servizio per individuare eventuali eccedenze, il cui elenco andrà inviato alla Regione, a cui spetta il compito di agevolare i percorsi di mobilità, per appena 6 mesi, «tramite riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza presso altre società controllate dal medesimo ente o da altri enti della stessa regione, sulla base di un accordo tra le società interessate», e successivamente dovrà inviare l'elenco delle eccedenze residue all’Anpal. I commi successivi al tre sono invece abrogati.

Le novità sono dunque due. La prima riguarda il fatto che le eventuali ricollocazioni potranno essere effettuate tramite accordi tra società a controllo pubblico, operazione realisticamente più fattibile rispetto ad una teorica ricollocazione sul mercato del lavoro. La seconda è che non è stato iterato il blocco delle assunzioni e che quindi questo ennesimo tentativo di riduzione del personale avrà solo l’effetto di creare una produzione di documenti da inviare a Regioni ed Anpal, ma non bloccherà le decisioni di reclutamento delle società pubbliche.

Resta un rammarico. Disposizioni come questeconfermano il pregiudizio secondo cui le società pubbliche sono baracconi inutili, in cui il personale è sempre eccessivo. Eppure dovrebbe essere chiaro che non è così, e che è venuto il momento, per Governo e Parlamento, di riflettere seriamente sull'eccesso di vincoli imposti alle aziende pubbliche e di iniziare ad affrontare i temi industriali delle Public Utilities.

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