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Regole sulla crisi da sospendere anche per le partecipate

Il decreto liquidità contiene un rilevante pacchetto di norme in materia di crisi d’impresa. L’intento dichiarato dal Governo è di evitare che l’attuazione di importanti (e a lungo attesi) interventi di riforma della disciplina della crisi o, al contrario, l’applicazione degli attuali e ordinari meccanismi potessero aggravare gli effetti di una crisi che si annuncia gravissima. Sia nell’uno (istituti vigenti) che nell’altro caso (istituti riformati), infatti, si tratta di norme immaginate – per dirla con il legislatore – per un «quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all’interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi».

Da qui una la duplice scelta: rinviare al 1° settembre 2021 l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e sospendere l’efficacia di alcune norme su riduzione del capitale, redazione del bilancio, finanziamenti alle società, concordato preventivo e accordi di ristrutturazione.

Il decreto liquidità tuttavia non contiene alcuna norma di raccordo con il Testo unico delle partecipate pubbliche. Questa assenza può avere una duplice spiegazione: si tratta di una semplice dimenticanza, oppure il legislatore considera scontata l’applicazione di queste norme anche alle società pubbliche.

In linea generale, il Testo unico ha chiarito che le partecipate sono soggette al diritto delle società, salve le eccezioni previste dal Testo stesso. E l’articolo 14 ha ulteriormente precisato che a queste società si applica sempre la disciplina ordinaria su fallimento, concordato preventivo e, se ne ricorrono i presupposti, amministrazione straordinaria delle grandi imprese.

È lecito quindi concludere che gli interventi (fossero pure di parziale “sospensione” dell’operatività di alcune norme) su questa disciplina comune, inclusi quelli previsti dalla “normativa Covid-19”, devono considerarsi estesi alle società soggette al Testo unico.

Il punto però è un altro, e riguarda i tratti di specialità della disciplina della crisi delle società pubbliche che, avuto riguardo alla ratio sottesa all’azione del Governo, avrebbero anch’essi meritato un intervento correttivo o sospensivo.

Ci si riferisce anzitutto alle norme che impongono alle società a controllo pubblico di adottare un autonomo sistema di prevenzione del rischio di impresa, che intere ssa una fase addirittura prodromica a quella presa in considerazione dal (differito) Codice della crisi: queste società devono dotarsi di specifici piani di valutazione del rischio di crisi aziendale (articolo 6, comma 2) e, in caso di emersione di uno o più degli indicatori contenuti nei piani, l’organo amministrativo deve adottare senza indugio i provvedimenti necessari a prevenire l’aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento (articolo 14, comma 2). E la mancata adozione del piano di risanamento costituisce «grave irregolarità» in riferimento all’articolo 2409 del Codice civile.

Il Testo unico poi (articolo 14, comma 5) riprende una rigorosa serie di divieti di intervento finanziario dei soci pubblici a supporto delle partecipate in crisi e, in particolare, di quelle in perdita per tre esercizi consecutivi. Condizione quest’ultima in cui rischiano di trovarsi numerose società pubbliche anche in ragione dell’attuale congiuntura economica e dell’inevitabile protrarsi dei suoi effetti: non è difficile immaginare che una parte elevata del costo sarà “scaricato” sui servizi pubblici, il cui modello gestionale principale è l’in house).Questi vincoli vanno letti alla luce dell’ulteriore norma del Testo unico che estende la responsabilità contabile (e la giurisdizione della Corte dei conti) agli amministratori delle società in house, oltre che agli amministratori degli enti soci. In questo contesto il tema, quindi, non è tanto l’applicabilità del decreto liquidità alle partecipate, ma l’opportunità di intervenire anche – nella stessa logica “temporanea” del decreto liquidità - su alcuni aspetti specifici della loro disciplina speciale. Per esempio stabilendo che almeno il 2020 non rileva nel calcolo del triennio previsto dall’articolo 14, comma 5 e disponendo la sospensione dell’obbligo fissato dall’articolo 6, comma 2.

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