Appalti

Due mosse anticrisi per le società partecipate

di Stefano Pozzoli

La velocità del mondo delle imprese (private) e la lentezza nell'adeguarsi al presente della Pa sembra trovare quasi una metafora nella regolamentazione delle crisi di impresa applicata alle aziende pubbliche. Infatti il Decreto Liquidità, come ricordato giustamente su queste pagine (Quotidiano degli enti locali e della Pa del 27 aprile) si è preoccupato di rinviare al 1° settembre 2021 l'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa, ha perfino previsto la non applicazione, per il 2020, gli articoli del codice civile relativi alle perdite di esercizio (articoli 2446 e 2447 del codice civile e le disposizioni analoghe per le Srl) e così via, ma non ha preso in considerazione il rinvio o la modifica delle disposizioni relative alla crisi contenute nel testo unico delle partecipate (Dlgs 175/2016) per la prevenzione delle medesime situazioni di disequilibrio.

Non sappiamo se si tratta di una sottovalutazione del tema o di una scelta consapevole ma certo è che le società pubbliche possono, in questa fase, applicare le disposizioni proprie delle società commerciali, e non si può dunque contestare una sostanziale diversità di trattamento rispetto alle aziende private. Sono in realtà due gli aspetti peculiari che vengono regolati dal testo unico per le e società pubbliche.

Il primo è una richiesta supplementare di informativa riservata ai soci in sede di assemblea di bilancio. Nell'ambito della relazione sul governo societario (art.icolo 6, comma 4, del Tusp), infatti, si dovrà relazionare sui risultati e sugli effetti dei programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale adottati dalla società, compreso un set di indicatori che devono segnalare eventuali patologie. I risultati di cui si parla, però, riguardano l'esercizio chiuso al 31 dicembre 2019 e non si vede perché la crisi che ha colpito il Paese nel 2020 debba giustificare disattenzione sul punto in questione. Lo stesso Oic, per altro, nel documento in consultazione in questi giorni, tende a distinguere gli effetti sul bilancio al 31 dicembre 2019 dagli eventi successivi a questa data, nella sua interpretazione dell'articolo 7 del Decreto Liquidità. Il testo unico delle partecipate, fondamentalmente, richiede di rendere edotti i soci della situazione, visto che loro stessi, e non solo gli amministratori, sono responsabili del mantenimento degli equilibri, e quindi del valore patrimoniale, delle partecipazioni azionarie che detengono secondo l'articolo 12.

L'altra differenza è relativa all'articolo 14 che tratta appunto della crisi di impresa. Il tema che pone, però, è tutto sommato di buon senso e consiste nel richiedere che «Qualora emergano, nell'ambito dei programmi di valutazione del rischio di cui all'articolo 6, comma 2, uno o più indicatori di crisi aziendale, l'organo amministrativo della società a controllo pubblico adotta senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l'aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento». Se proprio si vuole criticare la disposizione si può dire che è fin troppo didascalica: la straordinaria crisi che stiamo affrontando impone agli organi societari di attivare tutte le azioni necessarie per mantenere la azienda in equilibrio proprio per evitare quel default che l'epidemia rende oggi più probabile, anche in contesti tradizionalmente solidi. Questo è esattamente ciò che tutti gli amministratori di società, pubblica e privata, oggi stanno cercando di fare e che è imposto loro dal ruolo, più che da una norma.

Seguire le disposizioni del testo unico delle partecipate, piuttosto, consente agli amministratori di coinvolgere in questo sforzo nell'ambito del contesto assembleare, i propri soci, chiedendo loro di assumere le proprie decisioni con consapevolezza e responsabilità. La politica dello struzzo, non è mai vincente. Figurarsi in periodo di Covid-19.

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