Appalti

Ok della Consulta alla verifica di congruità degli affidamenti in house

di Alberto Barbiero

La verifica di congruità degli affidamenti in house, tradotta nell'obbligo di motivazione del mancato ricorso al mercato, supera anche il vaglio della Corte costituzionale secondo la quale la disciplina è coerente con l'ordinamento eurounitario, anche in base alla recente pronuncia della Corte di giustizia Ue.

La Consulta, con la sentenza n. 100/2020 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale posta dal Tar Liguria, sulla base di un presunto eccesso del legislatore nazionale rispetto alla legge delega nel definire il particolare percorso regolato dall'articolo 192, comma 2 del codice dei contratti pubblici.

La disposizione, infatti, stabilisce che ai fini dell'affidamento in house di un contratto che ha per oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

La Corte costituzionale ha chiarito come la previsione non violi il divieto del cosiddetto «gold plating», ossia di introduzione di norme che comportano oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, in quanto la disposizione si rivolge alle amministrazioni e segue una direttrice proconcorrenziale, poichè è volta ad allargare il ricorso al mercato.

L'analisi richiama anche il recente intervento della Corte di giustizia Ue con l'ordinanza del 6 febbraio 2020, sulle cause da C-89/19 a C-91/19, nella quale si riconosce agli Stati membri di scegliere il modo di prestazione di servizi mediante il quale le amministrazioni aggiudicatrici provvederanno alle proprie esigenze e, conseguentemente, li autorizza a subordinare la conclusione di un'operazione interna all'impossibilità di indire una gara d'appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all'operazione interna.

La Consulta ha precisato quindi come l'obbligo di motivazione sulle ragioni del mancato ricorso al mercato imposto dall'articolo 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici, che risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza, non sia in contrasto con i principi della legge delega in base ai quali è stato adottato il Dlgs 50/2016

L'articolo 192 del codice è posto in rilievo dai giudici costituzionali come espressione di una linea restrittiva del ricorso all'affidamento diretto che è costante nell'ordinamento nazionale da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all'abuso dell'istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali (come evidenziato anche dall'Anac nella relazione associata alle linee-guida n. 7)

La sentenza n. 100/2020 chiarisce inoltre che l'onere motivazionale richiesto dalla disposizione del Dlgs 50/2016 non si discosta, nella sostanza, da quello imposto dall'articolo 34, comma 20, del Dl 179/2012, il quale richiede l'indicazione delle ragioni dell'affidamento diretto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il rispetto della parità degli operatori e l'adeguata informazione alla collettività di riferimento, e ciò non può che essere letto come necessità di rendere palesi (anche) i motivi che hanno indotto l'amministrazione a ricorrere all'in house invece di rivolgersi al mercato.

Entrambe le norme si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica.

La scelta, proprio perché reca una disciplina pro concorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dalla normativa comunitaria, non si pone in contrasto con la stessa, che, in quanto diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri.

La sentenza della Corte costituzionale n. 100/2020

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