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Terminal portuali: al via progetti privati su infastrutture, equipment e innovazione

I terminalisti italiani si preparano a investire massicciamente sulle banchine portuali ma denunciano una burocrazia scoraggiante che non appare migliorata dopo il varo della riforma della governance dei porti. A spiegarlo è Luca Becce, neo presidente di Assiterminal, che snocciola i numeri degli investimenti previsti.
«Abbiamo messo a punto – spiega - una stima degli investimenti che i terminal operator hanno in corso o hanno programmato per i prossimi anni, inseriti nei piani d’impresa a medio-lungo termine. Per tutta l’Italia si arriva a quasi 3 miliardi di euro, mentre nei soli scali dell’alto Tirreno (Savona, Genova, La Spezia, Livorno, ndr), che fanno la parte del leone, la somma è pari a circa 1,6 miliardi. Si tratta di investimenti, prodotti esclusivamente con risorse delle aziende, messi in programma per i prossimi 10-20 anni e riguardano sia interventi strutturali, come tombamenti o rifacimenti di banchine, sia in equipment per i moli, comele gru, sia in innovazione e digitalizzazione».

Investimenti già completati
Guardando, poi, agli investimenti già completati, sottolinea Becce, «le sole imprese aderenti ad Assiterminal, tra 2004 e 2013 hanno impegnato 910 milioni di risorse proprie. Se si va più indietro nel tempo, risalendo al 1994, anno in cui i privati sono entrati sulle banchine, grazie alla legge 84/94, il monte degli investimenti da quella data al 2013 è di 1,64 miliardi. Mentre, nello stesso arco di tempo, la stima degli investimenti dell’intero handling portuale è di oltre 2 miliardi. Bisogna inoltre tenere conto che il valore economico delle merci movimentate dall’handling portuale italiano è di circa 230 miliardi l’anno».
A fronte di questi numeri, Becce ricorda che i terminalisti hanno sempre sostenuto che «tutto sommato l’impianto della 84/94 era buono. Condividiamo, peraltro, la centralizzazione delle strutture che è stata avviata con la riforma della legge per quanto riguarda la governance portuale. Continuiamo, peraltro, a pensare che prima di avventurarsi in grandi riforme si dovevano modificare alcune questioni amministrative che invece non sono risolte». Una di queste, spiega il presidente dei terminalisti, che si prepara a presentare all’assemblea dell’associazione, il 23 giugno, le linee guida del suo programma, riguarda il nodo dell’Imu sui moli.
«Ci sono porti – afferma- nei quali i terminal operator pagano l’Imu e altri dove non si paga. Non si riesce a dare omogeneità alla questione perché le Agenzie delle dogane territoriali danno interpretazioni diverse rispetto al pagamento. Eppure non è possibile che si mantenga una simile disparità tra un terminalista e un altro. Sono cose che fanno saltare centinaia di milioni l’anno”.

La funzione dell’Autorità di regolazione dei trasporti
Altro punto dolente, per Becce, è «la funzione dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art). Sulle concessioni i terminalisti rispondono al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e alle Autorità di sistema portuale (Adsp). Ora l’Art sembra aver intenzione di entrare nel processo di valutazione sulla congruità del sistema concessorio. Questo è l’esatto contrario della sburocratizzazione: ad autorità già presenti per il nostro segmento se ne aggiungerebbe un’altra. Senza contare che il regolamento sulle concessioni è fermo da anni in attesa che Mit e Mise lo sottoscrivano di concerto». Insomma, conclude Becce, «le questioni amministrative sono importanti come le altre», e occorre che il sistema funzioni perché i progetti d’investimento sui terminal possano essere portati a compimento.

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