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Risorse Ue per l’Ict: Campania e Sicilia al top per dotazione

Digitale, banda ultra larga, e-government, con un occhio di riguardo anche alle zone rurali. L’Italia ci crede e punta a colmare il divario che la separa dai Paesi più virtuosi d’Europa. Lo mostrano i dati della Commissione Ue elaborati dall’Osservatorio Il Sole 24-Clas-Pts Group sulla programmazione 2014-2020 dei fondi Ue destinati a imprese e Pubblica amministrazione per tentare il riscatto tecnologico. Stiamo parlando di quelli che in gergo comunitario si riferiscono all’Obiettivo tematico 2 per l’attuazione dell’agenda digitale, attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Feasr (Fondo europeo di sviluppo rurale).
A livello europeo il tesoretto dedicato all’Ict ammonta complessivamente a 18,3 miliardi (tra risorse provenienti da Bruxelles e cofinanziamento nazionale), pari al 2,9% della dotazione complessiva dei fondi strutturali e di investimento europei (i cosiddetti Sie). L’Italia è seconda dopo la Polonia con una dote totale di 3,1 miliardi (1,8 si risorse Ue e 1,2 di cofinanziamento). Al terzo posto c’è la Spagna, seguita da Francia e Repubblica Ceca, mentre la Germania è decima. «Una dotazione così consistente - sottolinea Chiara Sumiraschi, economista di Clas-Pts Group - è il chiaro segnale della volontà di dare un colpo di acceleratore per recuperare terreno». I margini di miglioramento ci sono, se si pensa che sui 28 Paesi Ue, l’Italia occupa il 25esimo posto nell’indice Desi sull’economia digitale elaborato da Bruxelles, distante da Danimarca, Olanda, Lussemburgo e Belgio che guarda caso nella programmazione 2014-2020 non prevedono di destinare risorse per attuare l’agenda digitale.

Le risorse Fesr...

Restringendo il focus sul Fesr la top 10 delle Regioni vede in testa la Campania, con circa 350 milioni, tra risorse Ue e cofinanziamento, che entro il 2020 saranno destinati all’Ict, pari all’8,5% della dotazione complessiva di questo programma a lei destinata. Seguono la spagnola Andalusia e la Sicilia, mentre la Puglia è al quinto posto. In generale il 61% delle risorse viene destinato alle regioni meno sviluppate, mentre il tesoretto riservato all’Ict va da 24% della dotazione Fesr totale a Bolzano al 2,1% in Lombardia.
In Italia la quota preponderante delle risorse per la società dell’informazione - pari a circa 2 miliardi - è gestita direttamente dalle regioni attraverso i Por (Programmi operativi regionali), mentre circa 600 milioni fanno capo all’amministrazione nazionale (i cosiddetti Pon). Secondo la fotografia scattata dall’Osservatorio 17 Regioni hanno optato per offrire risorse alla banda ultra larga, 14 per soluzioni tecnologiche per la digitalizzazione e l’innovazione dei processi interni della Pa, 12 per finanziare soluzioni tecnologiche per lo sviluppo di e-government, 7 per l’alfabetizzazione e l’inclusione digitale e 5 per sviluppare l’interoperabilità delle banche dati pubbliche.

...e quelle Feasr

Se il Fesr rappresenta il 77% delle risorse, la parte restante è rappresentata dai Psr (programmi di sviluppo rurale) cofinanziati dal Feasr (Fondo europeo di sviluppo rurale). Qui tra le regioni europee è in testa il Land tedesco della Sassonia-Anhalt con oltre 100 milioni, ma nella top ten figurano quattro Regioni italiane (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Sardegna e Piemonte). Accomunate dal focus sugli interventi per promuovere l’accessibilità, l’utilizzo e le tecnologie dell’informazione e comunicazione nelle zone rurali e alla diffusione della connettività in banda ultralarga. Qualche esempio? Per questo ultimo aspetto l’Emilia-Romagna ha previsto di stanziare 49 milioni di euro, come stabilito nel Piano nazionale banda ultra larga attuato dalla Regione e dal ministero dello sviluppo economico. Sono inoltre programmati 2 milioni per la creazione di servizi tecnologici a livello locale, dalle classi 2.0 nelle aree montane al progetto “Pane e internet” per musei e biblioteche.
«Nel nostro Paese - spiega Sumiraschi - le Regioni meno sviluppate tendono a preferire lo strumento del Fesr, quelle più avanzate i Psr per estendere gli interventi anche nelle zone meno hi-tech come quelle rurali. Se le premesse per colmare il digital divide ci sono tutte, sarà interessante tracciare un bilancio alla fine della programmazione per verificare come sono state utilizzate queste risorse per dare un contributo alla ripresa dell’economia».

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