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Stallo sulle privatizzazioni, a rischio la cessione di quote Eni-Enav a Cdp

Le privatizzazioni ipotizzate dal ministero dell’Economia per il 2017 al momento restano al palo. Sarebbe questo l’esito di un incontro che si è svolto ieri tra il direttore generale del ministero dell’Economia, Vincenzo La Via, e i vertici della Cassa depositi e prestiti. La società guidata da Fabio Gallia è la controparte individua per cedere il 50,37 del capitale di Enav e una quota pari al 3,3 per cento di Eni, ora in possesso del Tesoro, per un controvalore atteso di 2,8 miliardi. Ma negli ultimi giorni un ostacolo si è frapposto su un percorso sinora individuato come il più semplice e indolore per girare quote azionare a una controllata dello Stato e privatizzare minimizzando gli effetti collaterali.

La situazione di stallo
Dubbi sul rischio di non poter contabilizzare i proventi delle cessioni come un incasso da privatizzazioni e dunque destinarli alla riduzione del debito pubblico (attraverso il riacquisto di titoli di Stato sul mercato) sono stati sollevati dalla Banca d’Italia. A investire della questione l’istituto di via Nazionale nei giorni scorsi era stato lo stesso ministero dell’Economia, che aveva chiesto un parere sulle dismissioni. Bankitalia ha chiamato in causa le perplessità già in passato avanzate da Eurostat sull’effettiva consistenza di privatizzazioni che assomigliano di più a partite di giro (per quanto la Cdp abbia nel capitale il 16% di fondazioni bancarie) e ha sottolineato la possibilità che, pur cedendo le quote, poi il Mef non potesse usare quei fondi per ridurre il debito a meno di non incorrere in un’obiezione formale di Eurostat. Con il rischio estremo, seppure non remoto, che l’istituto di statistiche europeo possa arrivare a riclassificare la posizione della Cdp, mettendone in discussione lo status di istituzione finanziaria esterna alla Pubblica amministrazione i cui bilanci non impattano sul deficit e sul debito nazionale.
Lo situazione di stallo che si è aperta a seguito del parere di Banca d’Italia, ma in realtà anche a seguito dei contatti informali in corso in questi giorni tra ministero ed Eurostat su un fronte più ampio inerente il perimetro del debito pubblico, non si è sbloccata con l’incontro avvenuto ieri. Tanto che all’ordine del giorno del cda della Cassa depositi e prestiti convocato per domani non è previsto nulla sulle due operazioni. La proposta di acquisto delle quote di Enav ed Eni era già stata illustrata lo scorso 22 novembre al board dall’ad Gallia; in questa ulteriore riunione del consiglio di amministrazione sarebbe dovuto arrivare il via libera.
Per ora nulla di fatto, dunque. Ma considerato che ormai mancano meno di 20 giorni alla fine dell’anno sembra davvero difficile immaginare una soluzione alternativa o quantomeno di compromesso.

Le operazioni di cessione
L’attenzione di Eurostat per il perimetro del debito pubblico potrebbe essere da collegare con la particolare sensibilità che la Commissione europea ha nei confronti del livello dello stock italiano, a novembre giunto a 2.283 miliardi. Dopo la quotazione di Poste Italiane nel 2015 e poi quella di Enav nel 2016, quando sono state fatte nuove privatizzazioni a tutti gli effetti, un ritorno all’antica consuetudine di girare partecipazioni alla Cdp non sarebbe più vista di buon occhio.
Tra le operazioni sinora fatte da governi italiani e classificate come privatizzazioni, che potrebbero ora essere finite nel mirino di Bruxelles, ci sarebbero anche le operazioni pubbliche di cessioni di immobili al quale il ministero dell’Economia è ricorso più volte con operazioni di fine anno per far tornare i conti dei saldi pubblici.
Il ministero di via XX Settembre declina ogni commento ufficiale sulla questione, ma da quanto sembra di capire ci sarebbe comunque l’intenzione dei tentare di andare avanti. Non è da escludere che siano stati avviati ulteriori approfondimenti sulle operazioni di cessione, rinviando magari a un cda straordinario di fine mese il compito di formalizzare le privatizzazioni se una via di uscita fosse individuata. Va ricordato, comunque, che il target di riduzione del debito con le privatizzazione era già stato corretto sensibilmente al ribasso dal governo dopo l’estate, portando l’obiettivo dallo 0,5 allo 0,2 per cento del Pil. Considerata l’esiguità di riduzione dello stock debito pubblico con proventi per meno di 3 miliardi (su una mole che sfiora i 2.300 miliardi), bisogna capire cosa davvero può accadere qualora anche l’obiettivo minimo non fosse rispettato.

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