Imprese

Giornalista pubblico, nel contratto degli statali nuovi profili per la comunicazione

di Sergio Talamo

La Riforma della Pa 2015-2017 è incentrata sulla relazione a due vie con il cittadino, che da semplice fruitore dei servizi - spesso insoddisfatto e passivo - deve diventare valutatore e partner della gestione pubblica. Ma il cambiamento, per essere effettivo, oltre che di un deciso cambio di mentalità nella direzione della cultura del risultato, ha bisogno di due leve: un metodo di valutazione delle prestazioni di dipendenti e dirigenti che coinvolga gli utenti e un deciso rafforzamento delle professionalità che presidiano il rapporto fra ente e cittadino. In questo senso, si può dire che nella fase finale della legislatura si sono compiuti due importanti passi in avanti. Il primo consiste nelle Linee guida appena pubblicate sul sito della Funzione pubblica e relative alla valutazione dei dipendenti legata alla performance. Il secondo passo consiste nell’avvio, dopo oltre 17 anni dalla legge 150/2000, della definizione del profilo del comunicatore e giornalista pubblico, contenuto nell’articolo 95 del contratto degli statali, il primo dei contratti di comparto firmato il 23 dicembre scorso.

La valutazione della performance
Sul tema della valutazione “partecipata” della performance era intervenuta già a maggio 2017, in riforma della legge Brunetta del 2009, il Dlgs 74, con connesse Linee guida nel giugno successivo. L’obiettivo era superare quella che era vista come una rigidità eccessiva: le famose “fasce bloccate” di premialità. Il nuovo meccanismo, oltre a puntare su obiettivi di squadra più che del singolo, dà rilievo alle indagini di citizen satisfaction. Si pone così rimedio ad un “vulnus” della nuova legge sulla trasparenza totale (il cosiddetto Foia italiano, Dlgs 97/2016), che aveva depennato, fra gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto 33/2013, “i risultati delle indagini di customer satisfaction sulla qualità dei servizi, erogati attraverso diversi canali, facendone rilevare il relativo andamento” (così recitava il comma “n” dell’articolo 35). È stato notato che anche questo meccanismo presenta rischi, perché può sfociare nell’indefinizione dei criteri di valutazione, che a sua volta rimette in gioco i famigerati “premi a pioggia”. Certamente, lo snodo della performance partecipata dagli utenti come riferimento per la valutazione è centrale e i 32 articoli delle Linee guida meritano un approfondimento specifico che sarà svolto in un prossimo studio.

Le professionalità comunicative
In questa sede, invece, proviamo ad esaminare nel dettaglio la svolta in materia di professionalità comunicative, assolutamente necessaria per tradurre in pratica i nuovi compiti della “Pa trasparente e digitale”. Nella notte del 23 dicembre 2017, come è noto, dopo anni di blocco, è stato firmato il nuovo contratto degli statali (primo dei comparti, quello Funzioni centrali, cui dovranno seguire Enti locali, Sanità e Scuola). Naturalmente l’attenzione mediatica si è focalizzata su alcuni aspetti economici e normativi, fra cui spicca l’aumento stipendiale di 85 euro in media. Ma nel contratto vi è anche un altro tipo di “sblocco”, quello relativo alla comunicazione pubblica; e in questo caso il ritardo era ancora più consistente rispetto al contratto, perché gli ultimi atti significativi risalgono rispettivamente a 17 e 16 anni fa (legge 150/2000 e Dpr 422/2001). In seguito, varie leggi, circolari e direttive hanno in vario modo richiamato le funzioni comunicative - si pensi alle direttive sulla customer satisfaction e alla qualità dei servizi del 2004 e 2005, all’intera legislazione del ministero Brunetta nonché al decreto 33/2013 sulla trasparenza – ma senza mai prendersi la briga di definire e rinnovare le professionalità indicate dalla normativa del 2000-2001 (sebbene si trattasse di una normativa-quadro che indicava chiaramente il bisogno di ulteriori specificazioni). La necessità di ridisegnare funzioni e ruoli organizzativi delle professioni comunicative era sempre più evidente, perché si trattava di presidiare funzioni che nel frattempo si evolvevano in modo rapidissimo: da una legge nata in tempi in cui praticamente non esisteva neppure il web, si è passati ad una fase dove la comunicazione può giovarsi di piattaforme social ed è chiamata a rendere effettiva sia la trasparenza totale del decreto “Foia italiano” sia la digitalizzazione, resa ancor più centrale da ben due riforme del vecchio Cad (Codice dell’amministrazione digitale) del 2005. Le principali innovazioni della Riforma, infatti, riguardano la tipologia e i diritti di chi “sta dall’altra parte” rispetto all’ufficio pubblico: da utente passivo, questo interlocutore diventa titolare di stringenti diritti, fra cui quello di ottenere dalle Pa qualsiasi atto o documento che gli interessi, senza dover spiegare quale sia la ragione che lo muove e al di là dei documenti oggetto di obbligo di pubblicazione. Non solo: con la circolare 2 del 30 maggio 2017, la Funzione pubblica esorta le amministrazioni ad usare criteri molto restrittivi nell’esercitare il diniego nei confronti del cittadino richiedente, senza mai trincerarsi dietro qualche deficit formale della domanda e anzi avviando con lui un “dialogo collaborativo” al fine di individuare insieme l’oggetto della richiesta e quindi esaudirla, in modo completo o, quando necessario, “parziale o differito”. La circolare aggiunge che le Pa devono procedere anche alla “pubblicazione proattiva”, che anticipa la domanda toccando temi magari trattati sui social media, veicoli comunicativi esplicitamente indicati come centrali nella stagione della trasparenza totale. Altro elemento fondamentale: per sua stessa natura, il social realizza una trasparenza “di fatto e in tempo reale”, in quanto permette di accedere a dati e informazioni della Pa senza neppure bisogno di seguire le vie formali del decreto 97. Certo, a patto che a gestire l’altro capo della “fune comunicativa” non ci sia un funzionario che “tira” dalla sua parte per eludere la domanda, ma un professionista della comunicazione e dell’informazione che vede la trasparenza come un obiettivo e un’opportunità.

Il giornalista pubblico
In tale quadro, il profilo del nuovo professionista della comunicazione-informazione deve essere rafforzato e aggiornato, per non vanificare un meccanismo che al centro delle politiche mette “il dialogo collaborativo” con l’utente e il suo feedback. Sulla figura del nuovo comunicatore della “Pa trasparente” sono nel frattempo state avanzate proposte molto innovative e articolate, come quella, condivisa dalla Federazione della stampa italiana e dall’associazione #PAsocial, dell’Ufficio comunicazione, stampa e servizi al cittadino, una sorta di “newsroom” che supera definitivamente le anacronistiche barriere della 150/2000 fra Urp e Uffici stampa e assegna ad una nuova figura professionale unitaria, il giornalista pubblico, compiti strategici e diversificati, il cui tratto comune è il dialogo a due vie con il cittadino-utente. Il giornalista pubblico, nel modello che è stato anche inserito nella piattaforma presentata dalla Fnsi all’Aran nella recente trattativa per il contratto degli statali, si occupa: a) del contatto con il cittadino (in primis nell’accesso civico), di molto ampliato dall’uso professionale dei social media espressamente favoriti anche dalla circolare 2/2017; b) del riscontro della sua valutazione attraverso le indagini di citizen satisfaction legate alle Carte dei servizi; c) delle tradizionali funzioni di media relations e di produzione dell’informazione, ormai sintonizzate sulle potenzialità vastissime delle dirette social e di molte altre modalità di comunicazione in tempo reale; d) di comunicazione interna; infine, e) di organizzazione di eventi, naturalmente anche on line.

Gli indirizzi del ministro Pa
Di fronte ad un movimento di idee e proposte che ha suscitato vastissimo interesse e consenso sul territorio, la ministra della Pa Marianna Madia ha inserito un’esplicita indicazione nell’atto di indirizzo all’Aran per la definizione del contratto-Funzioni centrali. Madia ha interrotto il lungo silenzio governativo invitando l’Agenzia per la contrattazione ad avviare il lavoro per “un nuovo profilo professionale per gli addetti all'informazione e alla comunicazione dell’amministrazione pubblica”. Un risultato che è stato frutto anche di una forte richiesta della Fnsi guidata dal segretario Raffaele Lorusso, che ha incontrato la ministra prima dell’avvio delle trattative. Dopo due mesi di confronto molto serrato, il nuovo profilo si è effettivamente affacciato nel nuovo contratto. L’articolo 95, intitolato “Istituzione nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione”, e interamente dedicato ad essi, risente - e non poteva essere diversamente - della legislazione tuttora vigente, cioè quella legge 150 che prevede ancora una netta divisione fra funzioni comunicative e funzioni informative. Tuttavia “il dado è tratto” e, in attesa di una revisione legislativa nella prossima legislatura - la cosiddetta legge 151, da più parti invocata e anche delineata nei suoi tratti essenziali - si può auspicare che si usi l’ultimo scorcio della legislatura attuale per emanare un documento di indirizzo alle Pa che acceleri il processo verso una funzione comunicativa unitaria e centrale nelle politiche della “Pa trasparente e digitale”.

Informazione e comunicazione, compiti e profili
Già l’articolo 95 del resto, pur muovendosi in un quadro non aggiornato, dopo aver detto a chiare lettere che è “opportuno valorizzare e migliorare le attività di informazione e di comunicazione”, sia per la comunicazione sia per l’informazione indica compiti tanto rilevanti e innovativi (dalla trasparenza fino agli eventi e alle consultazioni pubbliche) quanto sovrapponibili, e non solo nella qualifica (per entrambe Area C, con possibilità di individuare figure di supporto nell’Area B e naturalmente lasciando libere le Pa di affidare la guida degli uffici ad un dirigente). Per il settore “comunicazione”, infatti, si fa rifermento a “gestione e coordinamento dei processi di comunicazione esterna e interna in relazione ai fabbisogni dell’utenza e agli obiettivi dell’amministrazione; definizione di procedure interne per la comunicazione istituzionale; raccordo dei processi di gestione dei siti internet, nell’ottica dell’attuazione delle disposizioni di materia di trasparenza e della comunicazione esterna dei servizi erogati dall’Amministrazione e del loro funzionamento”. Per l’”informazione”, invece, si citano “gestione e coordinamento dei processi di informazione sviluppati in stretta connessione con gli obiettivi istituzionali dell’Amministrazione; promozione e cura dei collegamenti con gli organi di informazione; individuazione e/o implementazione di soluzioni innovative e di strumenti che possano garantire la costante e aggiornata informazione sull’attività istituzionale dell’amministrazione; gestione degli eventi, dell’accesso civico e delle consultazioni pubbliche”. I diversi profili di riferimento, quindi, “specialista della comunicazione istituzionale”, “specialista nei rapporti con i media” e “giornalista pubblico” sono destinati ad essere superati e portati a sintesi unitaria. Molto significativo, in questo senso, il richiamo all’adesione del giornalista pubblico alle casse di previdenza e assistenza della categoria giornalistica, Inpgi, Casagit e Fondo di previdenza complementare: “L’istituzione dei profili di cui al presente articolo potrà essere oggetto di ulteriore approfondimento nell’ambito dei lavori della commissione di cui all’art. 12, anche in relazione alle modalità specifiche di adesione alle casse previdenziali e di assistenza dei giornalisti, alla definizione dei percorsi formativi, ad eventuali e specifiche modalità di articolazione dell’orario di lavoro”.

Osservazioni finali
Si tratta in definitiva di un consistente cambio di marcia, nella direzione di una nuova identità professionale della comunicazione degli enti centrali e locali. Il giornalista pubblico deve ora trovare spazio in atti esplicativi e di indirizzo organizzativo del ministero Pa e naturalmente nel lavoro della Commissione sulle classificazioni professionali i cui compiti sono descritti all’articolo 12 del Ccnl e che dovrebbe concludere i suoi lavori entro il prossimo maggio (anche se il clima elettorale e i vari passaggi di governo in calendario non autorizzano certo all’ottimismo). Certamente, i vecchi schemi degli “Uffici stampa” e degli “Urp” sono in via di pensionamento, per far spazio a figure unitarie del Giornalismo pubblico per le quali nella comunicazione al cittadino non ci sono più comparti lavorativi rigidi e separati. Per i professionisti della trasparenza totale via social, le tecnologie sono il mezzo per rendere effettivi valori costituzionali come imparzialità ed efficacia della Pa, intesi non più come erogazione episodica e unilaterale ma come frutto della piena partecipazione dei cittadini alle attività pubbliche.

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