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Trivelle, respinti i ricorsi - «Sì» a ricerche di gas nel mare Adriatico

Il Consiglio di Stato dà il via libera alle attività di ricerca di idrocarburi nel mare Adriatico, dalla costa romagnola fino alla Puglia, bocciando anche in secondo grado il ricorso delle Regioni Abruzzo e Puglia (e di diversi enti locali) contro il ministero dell’Ambiente e la società anglo-norvegese Spectrum Geo Ltd. Una battaglia lunga sette anni, perché era il gennaio 2011 quando Spectrum Geo presentò al Mise la domanda di due permessi di prospezione di gas e petrolio su 30mila kmq di Adriatico (da Rimini a Termoli e dal Gargano alla punta estrema del Leccese), utilizzando la tecnica dell’air gun, bolle d’aria sparate sott’acqua che producono onde di velocità diversa a seconda del tipo di fondale incontrato, rilevando così eventuali sacche di idrocarburi. Già il Tar del Lazio aveva respinto nel 2016 il primo ricorso contro il decreto di Via del Governo, bocciatura confermata ora in secondo grado.

La pronuncia dei giudici amministrativi
La sentenza può servire a ripristinare uno stato di diritto, ma non certo a ricostruire un clima di attrattività per chi intende investire sul rilancio economico e industriale del Paese e quindi anche sulla sua indipendenza energetica. «Apprezzo la decisione del Consiglio di Stato – commenta l’economista Alberto Clò, coordinatore scientifico del Rie-Ricerche industriali ed energetiche – ma il problema va ben oltre il merito della sentenza e della riconosciuta non dannosità dell’air gun, tecnica usata in tutto il mondo per rilievi geofisici. Il punto sostanziale è che la strategia energetica dell’Italia è da dieci anni paralizzata da burocrazia e tribunali e anche se il referendum contro le trivelle non è passato, ha vinto nei fatti: le compagnie stanno abbandonando il nostro territorio e noi rinunciamo a 10 miliardi di investimenti in attività minerarie, quando potremmo raddoppiare in pochi anni la produzione interna di idrocarburi e creare migliaia di posti di lavoro, per dipendere sempre di più da forniture estere e condannare a morte un’industria impiantistica dell’oil&gas all’avanguardia mondiale».
Capofila della lotta alle fonti fossili è proprio una regione come l’Abruzzo che fin dall’Ottocento è stata tre le prime in Italia ad avviare esplorazioni e a beneficiare dell’estrazione di idrocarburi. Anche se oggi restano solo due concessioni attive al largo della costa tra Teramo e Vasto, in scadenza a breve. «Il nostro modello di sviluppo futuro è improntato alla sostenibilità e nel Piano energetico ambientale che stiamo scrivendo dimostreremo che siamo autosufficienti anche senza petrolio, a partire dalla diga di Capotosto e le altre 48 dighe in regione», interviene il sottosegretario alla Presidenza con delega all’Ambiente, Mario Mazzocca, che dal 2014, anno di insediamento della Giunta di centro-sinistra di Luciano D’Alfonso ha battagliato in ogni sede contro l’industria mineraria, ottenendo tra l’altro lo stop alla mega-raffineria di Ombrina Mare.

L’attrattività
Basterà l’ok del Consiglio di Stato a convincere Spectrum Geo a tornare in Adriatico per avviare un’attività esplorativa in un clima tanto ostile e in un Paese politicamente disorientato e con una strategia energetica altrettanto confusa? «Dietro alle attività di prospezione ed estrazione ci sono tali interessi di valorizzazione societaria che sono convinto non sia svanito in questi sette anni l’interesse di Spectrum Geo per il nostro mare», replica Mazzocca. Certo è che la società quotata di Oslo che possiede la più grande libreria al mondo di dati sismici non potrà iniziare domani a sparare bolle d’aria nel mare tra Rimini e Lecce: per essere operativa la decisione del Consiglio di Stato richiede lo sblocco del decreto Calenda, sub iudice per un ricorso proprio della Regione Abruzzo.
Ad applaudire la decisione della magistratura amministrativa è anche il distretto ravennate dell’oil&gas, il più importante in Italia, che nel giro di tre anni ha visto il fatturato dimezzarsi da 2 miliardi a un miliardo di euro e gli occupati scendere da 9mila a poco più di 5mila unità, «per il blocco totale delle attività in mare entro le 12 miglia e lo stop ideologico a investimenti sul gas anche come fonte di transizione verso le energie pulite», sottolinea Franco Nanni, presidente del Roca, l’associazione ravennate dell'off-shore. La Regione Emilia-Romagna ha fatto due anni fa una scelta opposta a quella dell’Abruzzo a garanzia degli investitori, firmando un accordo con il Mise in base al quale ogni attività di esplorazione off-shore viene definita in modo partecipato con il Governo. «E la Romagna – conclude Nanni – è la dimostrazione che l’industria mineraria può convivere con turismo e ambiente. Un metro cubo di gas estratto in Adriatico inquina e costa il 25% in meno di un metro cubo di gas che arriva da Orengoj, in Russia, e deve percorrere 5mila km per arrivare nelle nostre case».

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1487/2018

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