Imprese

Alle Pmi italiane 226,6 milioni per fare impresa nei Paesi «fragili»

Aiutarli a casa loro? Non è solo etico, ma può fare anche molto bene al business di grandi aziende, Pmi e start-up di casa nostra. Nella cooperazione internazionale per lo sviluppo è sempre stata importante la partnership pubblico-privato, con il coinvogimento del profit, cioè delle aziende, a sostegno dei progetti. In passato, questo trend era alimentato quasi solo da grandi aziende – dall’oil&gas alla meccanica, all’alimentare (i soliti grandi e noti nomi) – che in cambio di un business climate favorevole nei Paesi in cui andavano a produrre o a estrarre materia prima – un po’ per responsabilità sociale e un po’ perché previsto dal contratto – finanziavano sistemi sanitari e microcredito, istruzione e formazione professionale (che era poi anche un investimento perché consentiva loro di formare personale qualificato in loco).

I programmi per le Pmi

Da qualche anno, invece, la Ue ha varato programmi e stanziato fondi per coinvolgere, sempre più e meglio, le piccole e medie imprese, mentre il no-profit assume il ruolo di “ponte” con le realtà locali. «Bisogna far capire alle aziende, anche italiane – spiega Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi – che lavorare con la cooperazione, non solo consente di fare profitto, ma può essere un primo passo per conoscere un Paese e analizzarne il mercato. In una logica win-win».

Come fa Treedom (Srl fiorentina che punta a 1,6 milioni di fatturato e ha 25 addetti) che pianta alberi e porta avanti progetti di riforestazione. «Molte grandi aziende – spiega uno dei soci, Martina Fondi – chiedono di finanziare piantumazioni di alberi da frutto nelle aree in cui acquistano le materie prime, per responsabilità sociale o reputation brand. Anche un privato può regalare, per una festa, un mango ad Haiti. Ogni albero è geolocalizzato e curato da agricoltori locali. Noi abbiamo un margine dai clienti e i contadini un lavoro sul posto».

La classifica dei fondi

Ma quali sono i Paesi le cui imprese private fanno maggior business con la cooperazione internazionale? Difficile dirlo con certezza. Perchè sono molte e diverse le fonti da cui attingere finanziamenti: Fmi, Banca mondiale, banche di sviluppo, fondi privati. Se però si guarda alle aziende profit europee che hanno beneficiato, nel periodo 2015-2018, di fondi Ue, si vede che ad usufruirne di più sono state le francesi (per quasi 600 milioni), a seguire le aziende belghe (693 milioni), poi quelle tedesche (per 468 milioni), le spagnole (296 milioni) quelle del Regno Unito (260 milioni) e – seste – le italiane (per importi pari a 226 milioni). Una cifra totale di 3,6 miliardi, che include sia grants (finanziamenti a fondo perduto) che procurement (cioè appalti). In ogni caso, siamo ben lontani per numero di contratti, dai nostri partner europei: se i belgi hanno firmato quasi 2.900 contratti e i britannici oltre 1.200, tedeschi e francesi stanno attorno quota 600, noi siamo sotto quota 400.

Fondo Ue di sviluppo sostenibile

Intanto, proprio per favorire gli investimenti privati nei Paesi “fragili”, due anni fa, Bruxelles ha creato il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd). «Lo stanziamento – ha spiegato Stefano Manservisi, direttore generale dello Sviluppo e della Cooperazione internazionale della Commissione Ue – prevede complessivamente 4,1 miliardi – con un effetto leverage di investimenti privati che noi stimiamo sino a 44 miliardi – per sostenere gli investimenti delle imprese in Paesi “fragili”. Di questa somma 1,5 miliardi sono a garanzia di progetti di investimento di aziende private per il triennio 2018-2020 in 5 settori prioritari: energie rinnovabili, digitalizzazione, sostegno alle Pmi, agribusiness e grandi città. Mentre circa 2,6 miliardi saranno destinati come garanzie a copertura dei rischi, all’assistenza tecnica, al sostegno della capacità amministrativa e al cofinanziamento in blending».

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