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Quota d'obbligo di energia rinnovabile, la questione del calcolo al vaglio dell'Adunza plenaria

di Maria Luisa Beccaria

Come qualificare giuridicamente il procedimento di verifica della quota d'obbligo di energia rinnovabile negli impianti di produzione di non rinnovabile è tema non ancora passato al vaglio della giurisprudenza, ma di recente affrontato dalla IV sezione del Consiglio di Stato con l'ordinanza 1934/2019, che rimette la questione all'Adunanza plenaria.

Le fonti normative
La direttiva n. 2009/28/CE, attuata con il Dlgs 28/2011, ha delineato il «regime di sostegno» che è una delle modalità con le quali ciascuno Stato membro può conseguire i propri obiettivi nazionali di promozione dell'energia pulita.
È uno «strumento, regime o meccanismo applicato da uno Stato membro o ruppo di Stati membri, inteso a promuovere l'uso delle energie da fonti rinnovabili riducendone i costi, aumentando i prezzi a cui possono essere vendute o aumentando, per mezzo di obblighi in materia di energie rinnovabili o altri mezzi, il volume acquistato di dette energie. Ciò comprende, ma non in via esclusiva, le sovvenzioni agli investimenti, le esenzioni o gli sgravi fiscali, le restituzioni d'imposta, i regimi di sostegno all'obbligo in materia di energie rinnovabili, compresi quelli che usano certificati verdi, e i regimi di sostegno diretto dei prezzi, ivi comprese le tariffe di riacquisto e le sovvenzioni».
Nel regime di sostegno italiano è rilevante la garanzia d'origine, definito quale «documento elettronico che serve esclusivamente a provare a un cliente finale che una determinata quota o un determinato quantitativo di energia sono stati prodotti da fonti rinnovabili».
Prima del Dlgs 28/2011 la garanzia di origine per l'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, rilasciata in altri Stati membri dell'Unione europea era riconosciuta in base all'articolo 11, comma 10, del Dlgs 387/2003. Gli importatori di energia elettrica da Stati membri Ue erano ammessi a provare l'origine rinnovabile dell'energia importata tramite l'esibizione della garanzia d'origine rilasciata nel Paese ove l'energia era prodotta.
Tale riconoscimento è stato eliminato dall'articolo 34, comma 3, lettera b del Dlgs 28/2011.

Il primo obbligo
L'articolo 11, commi 1-3, del Dlgs 79/1999 ha imposto ai produttori di energia da fonti convenzionali, a decorrere dal 2001, di immettere nel sistema elettrico quote di energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Fino 2015 tale obbligo poteva essere adempiuto mediante produzione diretta e immissione in rete dell'energia verde, o anche indirettamente, mediante acquisto dell'energia pulita da produttori che potessero garantire l'origine rinnovabile della stessa (articolo 11, comma 3 del Dlgs 79/1999). Eventuali compensazioni per energia ancora dovuta potevano essere risolte mediante acquisto dei certificati verdi, e cioè dei titoli negoziabili che il Gestore dei servizi energetici rilascia ai produttori di energia rinnovabile a fronte della produzione, da parte loro, di energia verde.
Per raggiungere la quota annuale dovuta di energia verde, i produttori e gli importatori di energia soggetti all'obbligo di immissione, anziché produrre in proprio od acquistare l'energia verde da terzi, potevano anche acquistare un corrispondente quantitativo di «certificati verdi» direttamente da produttori, titolari e gestori di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Il Dm 18 dicembre 2008 ha assegnato al Gestore un sistema di controllo annuale. Entro il 31 marzo di ogni anno i soggetti obbligati dovevano trasmettere al Gse un'autocertificazione attestante le proprie importazioni o produzioni di energia da fonte non rinnovabile, e un numero di certificati verdi equivalente alla quantità di energia necessaria per raggiungere la quota d'obbligo loro imposta. La verifica del Gse dava esito positivo quando il valore dei certificati verdi trasmessi eguagliava, o superava, il valore della quota d'obbligo. Con il Dllgs 28/2011 non è più consentito certificare l'origine verde dell'energia acquistata da produttori stranieri: tale energia è considerata equivalente all'energia prodotta da fonti non rinnovabili e determina il corrispondente obbligo di acquisto dei certificati verdi.

I certificati verdi
Con la sentenza 1° luglio 2014, C-573/12, Alands Vindkraft, la Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea ha ritenuto la legittimità di un regime di sostegno nel quale il rilascio dei certificati verdi è consentito in considerazione della sola energia verde prodotta sul territorio del singolo Stato membro, trattandosi di una limitazione territoriale che risulta essere consentita e salvaguardata dalla direttiva n. 2009/28/Ue.
Il buon funzionamento del regime dei certificati verdi «implica, essenzialmente, l'esistenza di meccanismi di mercato che siano idonei a permettere agli operatori che sono soggetti all'obbligo delle quote e che non dispongono ancora dei certificati richiesti al fine di assolvere detto obbligo, di approvvigionarsi di certificati in modo effettivo e a condizioni eque». Risulta necessario creare meccanismi che garantiscono l'attuazione di un vero mercato dei certificati in cui l'offerta e la domanda possano incontrarsi e tendere verso l'equilibrio, per accedere ai certificati a condizioni eque.

La questione
Configura un procedimento amministrativo la verifica del rispetto della quota d'obbligo di energia rinnovabile prevista fissata dall'articolo 11, commi 1, 2 e 3, del Dlgs 79/1999 per gli impianti di energia non rinnovabile, regolato dai Dm del 1999 e del 2005, e attribuito al Gse?
Due sono le ricostruzioni giuridiche prospettate nella ordinanza del Consiglio di Stato n. 1934/2019. Se si considera il fine di tutelare dell'interesse pubblico relativo al conseguimento degli obiettivi europei e internazionali sulla produzione energetica da fonti rinnovabili, rileva l'esercizio di un potere amministrativo che si conclude con un provvedimento autoritativo di accertamento in ordine all'avvenuto rispetto o meno della quota d'obbligo. La posizione di interesse legittimo dei destinatari è allora tutelabile con le azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi nei rispetto dei termini di decadenza.
Secondo altra visione è rilevante la procedura di controllo, affidata al Gse, relativa al rispetto di un obbligo, configurato dall'articolo 11, comma 2, del Dlgs 79/1999, per favorire la diffusione di energia da fonti non rinnovabili. Le verifiche del Gestore hanno natura ricognitiva e terminano con un accertamento del rispetto o meno dell'obbligo ex lege di diritto pubblico che opera sul piano paritetico del rapporto obbligatorio. Per ogni contestazione dello stesso vale il termine di prescrizione decennale.

Nuove direttive
Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale europea del 21 dicembre 2018 la direttiva 2018/2001, sulla promozione e sull'uso delle fonti rinnovabili, e la direttiva 2018/2002 sull'efficienza energetica. La direttiva 2018/2001 deve essere recepita entro il 30 giugno 2021 e fissa un obiettivo vincolante del 32% per le fonti rinnovabili al 2030. Target suscettibile di revisione al rialzo entro il 2023. Una quota minima di fonti rinnovabili del 14% è fissata anche per il settore trasporti.
L'articolo 2 definisce «l'autoconsumatore di energie rinnovabili» quale «cliente finale che produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta».
Per quest'ultimo sono disposte agevolazioni anche per il pagamento degli oneri di rete.
La direttiva 2018/2002, che va recepita entro il 25 giugno 2020, fissa il risparmio energetico al 32,5% al 2030, con una revisione al rialzo nel 2023. Per gli Stati membri sono stati indicati dei target indicativi, e l'obbligo di ottenere nuovi risparmi energetici annuali dello 0,8% nel periodo 2021-2030 (0,24% nel caso di Cipro e Malta). Altre misure riguardano il teleriscaldamento, le informazioni di fatturazione e consumo, l'obbligo di lettura dei consumi da remoto.
Entro il primo gennaio 2027 tutti i contabilizzatori in uso dovranno avere la capacità di lettura da remoto; quelli già installati dovranno essere sostituiti fatta sala l'impossibilità tecnica o economica. Gli Stati membri sono liberi di decidere se le tecnologie a lettura mobile (modalità walk-by o drive-by) debbano essere considerate o meno leggibili da remoto.

In italia
La Strategia energetica nazionale (SEN) adottata dal Governo a novembre 2017 (decreto interministeriale 10 novembre 2017), è un documento di programmazione e indirizzo nel settore energetico, non previsto da una norma di rango primario, che ha coinvolto Parlamento, soggetti istituzionali e operatori del settore.
Prevede macro-obiettivi di politica energetica: migliorare la competitività del Paese, raggiungere in modo sostenibile gli obiettivi ambientali e di de-carbonizzazione al 2030 definiti a livello europeo, continuare a migliorare la sicurezza di approvvigionamento e la flessibilità e sicurezza dei sistemi e delle infrastrutture. Sono individuate delle precise priorità di azione.
Per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili gli obiettivi sono:
- raggiungere il 28% di rinnovabili sui consumi complessivi al 2030 rispetto al 17,5% del 2015;
- rinnovabili elettriche al 55% al 2030 rispetto al 33,5% del 2015;
- rinnovabili termiche al 30% al 2030 rispetto al 19,2% del 2015;
- rinnovabili trasporti al 21% al 2030 rispetto al 6,4% del 2015.
Per l'efficienza energetica: riduzione dei consumi finali (10 Mtep/anno nel 2030 rispetto al tendenziale); cambio di mix settoriale per favorire il raggiungimento del target di riduzione CO2 non-ETS, con focus su residenziale e trasporti.

L'ordinanza del Consiglio di Stato n. 1934/2019

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