Imprese

Limiti orari alle sale da gioco, intervento lecito se non obbligatorio da parte dell'amministrazione comunale

di Mario Improta

È lecito e coerente con la normativa nazionale in tema di liberalizzazione delle attività economiche e degli orari dei pubblici esercizi consentire «alle autorità pubbliche di porre limiti e restrizioni all’attività economica per evitare danni alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale», così il Tar Veneto, sez. III, con la sentenza n. 1209/2019.

Il caso
Una società, titolare di una sala giochi cui sono installati anche apparecchi videoterminali (Vlt) per l’esercizio di attività da gioco lecito, ha impugnato un’ordinanza comunale, con la quale il Comune limitava il funzionamento di tutti gli apparecchi di intrattenimento e di svago con vincita in denaro, ovunque installati sul territorio comunale, in determinate fasce orarie: in particolare, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 17.00 alle ore 20.00, tutti i giorni, compresi i festivi.
La società, con ricorso, adiva il Tar del Veneto lamentando, oltre al più generale danno che tale riduzione oraria avrebbe causato alla sua attività economica, anche una serie di motivi che, a detta della ricorrente, inficiavano alla legittimità dell’impugnata ordinanza. Nel dettaglio, la ricorrente contestava la disomogeneità nel territorio nazionale e regionale di tali limitazioni; l’assenza di una precisa istruttoria accompagnata da una coerente motivazione che individuasse e tenesse conto dei rischi concreti per la popolazione, da parte dell’amministrazione comunale; nonché, ad ultimo, l’inadeguatezza della misura restrittiva in relazione allo scopo perseguito, con conseguenziale violazione del principio costituzionale di libertà in materia economica, di proporzionalità e ragionevolezza.

La decisione
Il Tar Veneto, con sentenza n. 1209 dell’11 novembre 2019, ritenendo infondate tutte le censure lamentate ed allineandosi ad una ormai consolidata giurisprudenza sul punto, rigettava il ricorso con condanna alle spese di parte ricorrente.
In particolare, il Collegio giudicante ha precisato che, in tema di limitazioni alle attività di gioco lecito e, più in generale, riguardo alla potestà di pianificare l’utilizzo degli apparecchi da gioco di cui all’articolo 110, comma 6 del Tulps, da parte dell’autorità comunale, non si ravvisano specifiche esigenze di unitarietà di trattamento a livello nazionale o regionale, né risulta comunque applicabile il principio della ‘chiamata in sussidiarietà’ in capo all’autorità statale. A supporto della tesi del Collegio, infatti, viene richiamata la sentenza n. 220/2014 della Corte costituzionale, la quale, considerando gli apparecchi da gioco e slot-machine nel loro aspetto negativo di strumento di grave pericolo per la salute individuale e il benessere psichico e socio-economico della popolazione, la cui tutela è compresa tra le attribuzioni dell’Ente locale, evidenzia  come il provvedimento comunale in questione, essendo comunque espressione della tutela della collettività e della salute pubblica, ed essendo teleologicamente orientato alla salvaguardia di tali interessi, rientra nel genus delle attribuzioni comunali, sub specie di esercizio della potestas di cui all’articolo 50, comma 7, del Dlgs n. 267 del 2000. Sul punto, ancora più incisivo il Consiglio di Stato che, con la recente sentenza n. 4509 del 2019, individua l’esistenza di un vero e proprio obbligo a porre in essere, da parte dell’amministrazione comunale, interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso, alla tutela della salute, per altro verso al principio di precauzione, tale che l’ipotesi di un rischio anche meramente potenziale comporta l’obbligo di predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione.
Ad ultimo, il motivo inerente l’inadeguatezza della misura restrittiva in rapporto allo scopo ed il principio costituzionale di libertà in materia economica, come inteso da parte ricorrente, secondo il giudice, non appare idoneo a corroborare la decisione comunale. Il Tar, infatti, ha ricordato che la libertà in materia economica non è mai assoluta, non potendosi in nessun caso svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, quindi in danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, così come recita l’articolo 41 Cost., e che la legislazione nazionale consente alle autorità pubbliche di porre limiti e restrizioni alle attività economiche che possano arrecare tali danni. Orbene, ad avviso del Giudice, l’ordinanza comunale «è da considerarsi rispettosa del principio di proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti (prevenzione, contrasto, e riduzione del gioco d’azzardo patologico), realizzando un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo», infatti, appare idonea a perseguire lo scopo prefisso che non è, come rilevato dal giudice, quello di eliminare qualsiasi forma di dipendenza patologica del gioco (obiettivo che esula, certamente, le attribuzioni e le capacità del Comune), «ma solo quello di prevenire, contrastare e ridurre il rischio di dipendenza patologica da gioco lecito».

Contrasto alla ludopatia
La sentenza in commento si allinea tanto agli obiettivi perseguiti dal Legislatore, nazionale ed euro-unitario, quanto ad una ormai granitica giurisprudenza mirante a contrastare ogni forma di dipendenza patologica, al fine di tutelare i soggetti più deboli della comunità.
L’interesse pubblico alla prevenzione ed al contrasto del ‘disturbo dal gioco d’azzardo’, più comunemente noto come ludopatia, negli ultimi anni sta acquisendo sempre più rilevanza. Il fenomeno patologico si manifesta nell’incapacità di resistere all'impulso del gioco d'azzardo - quest'ultimo comunemente inteso come scommessa di beni (principalmente denaro) sul verificarsi di un evento futuro e incerto - nonostante l'individuo che ne è affetto sia perfettamente consapevole che questo possa comportare gravi conseguenze.
Il Legislatore italiano, soprattutto nel periodo di post-crisi economica, che ha visto un incrementarsi notevole di persone affette da tale disagio, da tale patologia, è intervenuto con molteplici provvedimenti volti a tutelare il giocare e prevenirne le ripercussioni sociali e sanitarie. Si pensi, ad esempio, all’articolo 24 – ‘Norme in materia di gioco’, commi 23, 29 e 42 del Dl 6 luglio 2011, n. 98, recante ‘Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria’; ovvero all’articolo 7 ‘Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica’ del Dl 13 settembre 2012, n. 158, recante ‘Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute’; ovvero, da ultimo, l’articolo 9 ‘Divieto di pubblicità giochi e scommesse’ del Dl 12 luglio 2018, n. 87 recante ‘Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese’.
Altrettanto sensibile al tema si è mostrata la Corte di giustizia europea che, a più riprese, ha ammesso la possibilità di limitare le libertà fondamentali, come previste dagli articoli 49 e 56 Tfue, in caso di motivi imperativi di interesse generale, tra cui, naturalmente, la tutela dei consumatori e la prevenzione dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (si veda sul punto la pronuncia 375/17 del 19 dicembre 2018).

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