Imprese

Politica di coesione, unica strategia di riequilibrio territoriale

di Giancarlo Terenzi

Richiesta dalla 14ª Commissione affari europei del Senato, il 19 maggio scorso il ministro Provenzano ha tenuto un'audizione sull'utilizzo dei fondi strutturali e d'investimento europei, in particolare sulla capacità di spesa e il raggiungimento degli obiettivi, nonché sul come utilizzare le risorse non impegnate o non spese.
L'audizione segue quella del presidente della sezione Affari comunitari e internazionali della Corte dei conti sui temi legati all'attuazione della politica di coesione cofinanziata (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 12 maggio). Dall'intervento del ministro cogliamo alcuni aspetti, tra i tantissimi emersi, riguardanti la politica di coesione, lo stato di attuazione dell'attuale ciclo 2014-2020 e alcuni dei correttivi proposti per correggere i limiti emersi.

Politica di coesione
Il ministro ha affermato come la politica di coesione europea sia stata nel corso degli anni l'unica politica di riequilibrio territoriale in assenza di una nazionale. Pur con i limiti emersi nel corso dei vari cicli, sia in fase di programmazione, sia di attuazione, è stato il solo argine opposto al divaricarsi di questo squilibrio. La mancata politica pubblica nazionale ha fatto si che quella di coesione europea fosse stata lasciata sola, aggiungiamo noi, un po' come era accaduto, mutatis mutandis, con l'intervento straordinario, rendendola doppiamente sostitutiva sia perché è mancata la spesa ordinaria in conto capitale, sia quella aggiuntiva nazionale per le politiche di sviluppo e coesione (Fsc). La politica di coesione non è stata, pertanto, addizionale come vuole l'Europa e quindi il suo impatto in termini di convergenza è stato molto indebolito.

I ritardi della programmazione 2014-2020
La programmazione 2014-2020 sconta un negoziato molto lungo con la Commissione europea. Ciò ha comportato ritardi sulla definizione dei programmi nazionali e regionali, anche perché le varie amministrazioni stavano producendo il massimo sforzo per non perdere le risorse del ciclo 2007-2013, e quindi nell'attuazione.
I dati di dicembre 2019, pur avendo centrato l'obiettivo dell'n+3, erano insoddisfacenti, sottolinea il ministro, e di diversi punti sotto, in termini di impegni e spesa, rispetto alla media europea, sia per i fondi Sie che per Fesr e Fse. L'ultimo monitoraggio di febbraio 2020 del sistema Mef-Igrue registra una crescita, sia in termini di impegni e pagamenti, ma alcuni programmi Por e Pon Fesr e Fse, precisa il ministro, sono, ancora, in forte sofferenza. Anche qui, aggiungiamo noi, per quanto riguarda gli specifici assi Por delle 3 regioni (Abruzzo, Marche, Umbria) dell'Italia centrale, nati a seguito del sisma 2016 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 6 maggio), non si registrano, purtroppo, incrementi di spesa in un arco temporale non ancora interessato dalla pandemia. Soli pochi punti percentuali, intorno a 3, ma per l'intero asse del Lazio al cui interno è presente una specifica azione per salvaguardare gli edifici in zona a rischio sismico.
Il target richiesto per il 2020 è di 5,9 miliardi ma, anche per il fermo di alcuni mesi causato da covid-19, è motivo di preoccupazione. In tal senso, prosegue il ministro, viene incontro la riprogrammazione, a seguito della modifica introdotta ai regolamenti Ue che, oltre a recuperare i ritardi su alcuni programmi a rischio disimpegno, permette di indirizzarla su temi e alcune linee nazionali legati a covid-19 e di evitare interventi inefficaci e a pioggia. Il ministro, nel ricordare che le singole interlocuzioni con le amministrazioni titolari di Pon e Por saranno sancite da un'intesa nazionale, fa presente che si è scelto di utilizzare l'eccezionale flessibilità di Crii plus per una riprogrammazione interna dei singoli programmi operativi nazionali o regionali e proprio per questo si attende che siano spesi bene e celermente per non minare la credibilità con la Ce anche in vista dei prossimi appuntamenti europei.
In realtà, poiché non si è ancora raggiunta una intesa con tutte le amministrazioni, che peraltro sembrerebbe ancora lontana, Emilia-Romagna e Toscana, sulla stessa linea si sta orientando anche la Lombardia, hanno utilizzato la flessibilità offerta dalla prima modifica ai regolamenti (Crii) per riprogrammare i Po, reindirizzandoli verso azioni per fronteggiare la crisi del coronavirus, già approvati dalla Commissione.

Correttivi
Il ministro ascrive tra i suoi successi l'aver definitivamente acquisito la clausola del 34% per gli interventi in conto capitale in favore del Mezzogiorno, aver ricondotto l'Agenzia della coesione territoriale alla sua mission originaria di affiancamento alle Autorità di gestione e alle amministrazioni locali, anche attraverso una cooperazione rafforzata realizzata attraverso task force, di cui quella sull'edilizia scolastica ne è un esempio.
L'aver riattivato la spesa del Fsc attraverso il monitoraggio dei vari cicli del fondo ridefinendone i quadri finanziari che per il 2014/2020 - dice il ministro - ha un assorbimento insignificante, intorno al 4%. La riprogrammazione - prosegue Provenzano - fisserà l'obbligo di assumere impegni giuridicamente vincolanti entro il 31 dicembre 2021, pena la riprogrammazione delle risorse sempre all'interno dello stesso territorio.
Una specie di gioco dell'oca che senza correttivi rischia di durare fino all'infinito. Inoltre, ricorda ancora il ministro, la nuova mission non sarà più quella di essere tarato sui fondi europei perché servente dei fondi stessi, ma di attuare una propria programmazione spendendo le sue risorse in progetti non necessariamente vincolati alla programmazione comunitaria. In tal senso sarà semplificato il sistema di gestione e controllo, fino ad oggi con le stesse regole di quelle europee per essere facilmente sovrapponibile.
Appare troppo ottimistica la visione di poter fare a meno, in un prossimo futuro, dei progetti sponda proprio oggi, in presenza di importanti risorse che arriveranno da Bruxelles e che andranno anche ad impolpare la politica di coesione europea. In questo contesto sganciare il sistema di gestione e controllo da quello dei fondi europei appare prematuro e il sistema che si adotterà rischia di essere troppo blando se si vuole veramente avere il polso della situazione del braccio nazionale della politica di coesione.
Dopo aver ricordato che le assistenze tecniche, largamente utilizzate in questo ciclo, molto poco hanno restituito alle amministrazioni pubbliche, così come i piani di rafforzamento amministrativo, conclude con la necessità di predisporre un piano per reclutare nuove competenze e professionalità che mancano nella Pa completamente svuotata nel corso di almeno l'ultimo decennio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©