Amministratori

Rigenerazione urbana per una crescita «partecipata»

Dobbiamo smetterla di pensare alle nostre città come a qualcosa di fisso e immutabile. Primo, perché ci sono molti casi in Italia in cui non è così: basti pensare allo sviluppo di Milano. Secondo, perché l’Europa corre velocissima su un tema - la rigenerazione urbana - che porta crescita come nessun altro. Crescita in termini di Pil, benessere urbano, «sostituzione» di vuoti urbani con nuove vitalità e servizi ai cittadini. Terzo, perché la cultura della rigidità dei vecchi piani regolatori (previsti dalla legge del 1942), che molto ha contribuito a tenere ferme le nostre città, tiene anche lontano chi potrebbe investire.

Bene ha fatto il presidente dell’Unione industriale di Napoli, Ambrogio Prezioso, “cultore” della rigenerazione urbana e ora coordinatore in Confindustria di un gruppo di lavoro sulle aree metropolitane, a rilanciare il tema. Lo ha fatto ricordando il contributo che può venire a una nuova crescita dalle partnership pubblico-privato e da forme di finzanziamento privato di beni collettivi.

E nel corso del dibattito di ieri - cui hanno partecipato alcuni protagonisti di questa stagione di rilancio della pianificazione pubblica come Ennio Cascetta (struttura di missione del Mit), Ludovica Agrò (Agenzia per la coesione territoriale), il ministro per il Mezzogiorno e la coesione territoriale, Claudio De Vincenti, “padre” del Masterplan e dei patti per il Sud - è tornato il tema della partecipazione del territorio, dei cittadini, delle imprese a progetti di riqualificazione delle nostre città e di infrastrutturazione dei nostri territori. Cascetta ha ricordato come con il nuovo codice degli appalti decollerà il «dibattito pubblico». Strumenti utili per colmare ritardi ventennali e aumentare il consenso intorno alle trasformazioni territoriali. Ma anche per ancorare al territorio le decisioni prese e portare risorse umane, sociali, finanziarie, imprenditoriali, produttive a progetti di rilancio, riuso, rivitalizzazione della città.

Veniamo da 20 anni - forse anche per effetto di un cattivo federalismo regionalista - di “buco” nella rigenerazione metropolitana e urbana dopo che negli anni ’90 eravamo partiti forse tra i primi con modelli sperimentali di sviluppo «integrato» (art. 11, Pru, Prusst, società di trasformazione urbana). Venti anni di abbandono delle politiche urbane nazionali cui si cerca ora di porre rimedio. C’è molto da fare per alzare il livello della progettazione (si pensi al “piano città” del governo Monti ma anche ai più recenti “piano periferie” e “piano scuole”) e bisogna uscire da un approccio troppo pubblicistico e burocratico per dare spazio a proposte e forme di collaborazione in cui siano i cittadini a ridare colore e anima ai propri pezzi di città.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©