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I criteri automatici non bastano a giustificare la chiusura degli uffici postali - In Consiglio di Stato vittoria dei sindaci

di Amedeo Di Filippo

La contesta tra piccoli Comuni e Poste Italiane sulla chiusura degli uffici postali trova finalmente epilogo con la sentenza 2140/2017 con cui la sesta sezione del Consiglio di Stato dà ragione alle comunità locali e fissa una volta per tutte il principio secondo cui l'esigenza di assicurare l'equilibrio economico del servizio non può essere criterio sufficiente a motivare le chiusure o le riduzioni degli orari di apertura.

Il precedente
Il giudizio verte sulla sentenza 600 del 14 giugno 2016 con cui il Tar Emilia Romagna si è pronunciato su una serie di ricorsi presentati da diversi Comuni romagnoli contro gli atti con cui Poste aveva comunicato la chiusura di uffici postali. Due i motivi di ricorso: con la chiusura non sarebbe stato più garantito il servizio pubblico universale, escluso sulla base di considerazioni meramente economiche; e non sarebbe stata più servita la popolazione che poteva fruire di un servizio postale a distanza non superiore a certi parametri prevista dalle norme. Il Tar ha respinto i ricorsi, sulla base del fatto che la decisione di Poste ha rispettato i criteri dettati dal Dm 1 ottobre 2008 circa i divieti di chiusura di uffici postali sul territorio nazionale, legati alla distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino. Sulla questione dell'antieconomicità dell'ufficio postale da chiudere, pur ammettendo che non possa essere un criterio legittimo, i giudici hanno sostenuto che il contratto di programma riconosce alla società la facoltà di ridefinire l'articolazione della propria rete di uffici postali «secondo parametri più economici», vincolando l'esercizio di questa facoltà all’obiettivo del contenimento degli oneri del servizio universale, e ponendo come obbligo l'eliminazione degli uffici diseconomici tenendo anche conto dell'incremento di metodi informatici alternativi per inviare documenti e comunicazioni in genere.

Il verdetto del Consiglio di Stato
I giudici di Palazzo Spada ribaltano il giudizio e con la sentenza 2140/2016 accolgono gli appelli proposti dai Comuni annullando gli atti impugnati di chiusura e di riduzione dell'orario di apertura al pubblico adottati da Poste Italiane. La sentenza parte da un riepilogo del quadro normativo di riferimento, a cominciare dalle direttive 15 dicembre 1997, n. 97/67/CE e 20 febbraio 2008, n. 2008/6/CE, recepite in Italia col Dlgs 261/1999, poi modificato col Dlgs 58/2011, che ha posto le basi per un mercato postale completamente liberalizzato. Il decreto è stato attuato con il Dm del 7 ottobre 2008, che individua quale «criterio di distribuzione» la distanza massima di accessibilità al servizio, espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al punto di accesso più vicino. C’è poi la delibera dell'Agcom 342/2014, che esamina la questione dei criteri di distribuzione sul territorio dei punti di accesso alla rete postale pubblica. I rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati dal Contratto di programma. Viene quindi ricostruita la recente giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, giunta a conclusioni ormai consolidate:
• il servizio postale, in quanto “universale”, deve essere garantito anche a prescindere da considerazioni di mercato;
• è obbligatorio un contraddittorio procedimentale effettivo con gli enti locali interessati;
• nel caso di chiusure, Poste ha l'onere di indicare puntualmente le ragioni per le quali restano garantite prestazioni di servizi conformi agli obblighi imposti a livello europeo e nazionale, e quindi sono illegittime le chiusure di uffici che si limitino a far riferimento al mero dato geografico della distanza chilometrica, omettendo di contestualizzarlo con altri fattori quali il bacino o la composizione della popolazione;
• il criterio della distanza massima di accessibilità al servizio è necessario, ma da solo non sufficiente perché possa ritenersi che il concessionario continui a garantire il servizio universale;
• sia il criterio della economicità del servizio sia quello delle distanze chilometriche devono essere valutati con estrema attenzione, rifuggendo da qualunque automatismo e valutando l'adeguatezza della rete di distribuzione degli uffici postali su base locale.
In sintesi, né l'economicità del servizio né la distanza minima sono requisiti sufficienti: occorre sempre e comunque un'istruttoria completa e approfondita, che deve essere comprensiva anche della fase di «effettiva» interlocuzione con gli enti locali e dia conto, oltre che degli esiti di questa interlocuzione, anche delle specificità della situazione locale. Evenienze che la sesta sezione non rinviene nei casi esaminati, dove Poste Italiane ha fatto generici riferimenti a disposizioni normative, a piani di efficientamento e al disequilibrio economico nella erogazione del servizio universale. Occorreva invece motivare ciascuna decisione valutandone caso per caso «l'impatto sulle collettività interessate, avendo riguardo alle situazioni altimetriche, alla composizione della popolazione e ai disagi per la stessa, alla percorribilità delle strade, alle difficoltà di spostamento anche in relazione alla situazione del trasporto pubblico locale e al fatto che le reti postali assicurano la coesione socio-economico-territoriale».

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