Amministratori

È reato impedire i controlli dei pubblici ufficiali

di Daniela Dattola

Commette il reato di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall'articolo 337 del codice penale l'automobilista che, fermato per un controllo e risultato privo di patente e copertura assicurativa, si barrica nella propria autovettura minacciando di darsi fuoco ed impedendo alle Forze dell'ordine di svolgere i dovuti controlli. Lo ha deciso la Corte di cassazione, VI sezione penale, con la sentenza n.26869 del 29 maggio 2017.

Il caso
Il conducente di un veicolo, fermato dal personale dell'Arma dei Carabinieri, trovato senza patente, privo dei documenti dell'autovettura e della copertura assicurativa, alla richiesta degli agenti di poter effettuare i necessari controlli e di procedere al fermo amministrativo della vettura, si era barricato nell'abitacolo della stessa. Non solo, aveva minacciato di darsi fuoco con del liquido infiammabile, impedendo ai pubblici ufficiali di svolgere le loro normali funzioni. Ha poi impugnato la sentenza della Corte d'appello che lo aveva ritenuto responsabile del reato di resistenza a pubblico ufficiale, lamentando che:
• il proprio comportamento non sarebbe potuto rientrare nella fattispecie di cui all'articolo 337 del codice penale trattandosi di mera resistenza passiva, poiché la minaccia avrebbe comportato danni solamente per se stesso e non per i pubblici ufficiali;
• la minaccia sarebbe stata in concreto irrealizzabile, dal momento che il liquido in suo possesso non era infiammabile e quindi del tutto privo di una qualsivoglia potenzialità lesiva per l'integrità fisica degli operanti.

Solo la resistenza passiva impedisce la condanna
Secondo consolidata giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione VI penale, sentenza n. 37352 del 5 maggio 2008) il reato di resistenza a pubblico ufficiale sussiste laddove l'imputato abbia posto in essere una condotta consistente in comportamenti positivi finalizzati ad impedire e contrastare l'attività del pubblico ufficiale. L'elemento materiale del reato è integrato anche dalla violenza cosiddetta “impropria”, la quale, pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, si riflette negativamente nell'esplicazione della relativa funzione pubblica, impedendola o semplicemente ostacolandola.
Solo la resistenza passiva potrà, dunque, in quanto negazione di qualunque forma di violenza o di minaccia, rimanere al di fuori della previsione legislativa di cui articolo 337 del codice penale (Tribunale Napoli sezione I 30 maggio 2014 n. 7994).

Per la Suprema Corte sussiste la resistenza attiva
La Suprema Corte ha respinto il ricorso ritenendo non condivisibili le motivazioni addotte dal ricorrente, in quanto:
• l'imputato, barricandosi all'interno dell'autovettura, non si è limitato a disobbedire alle richieste degli agenti, ma ha tenuto un comportamento positivo volto ad impedire ai pubblici ufficiali con l'uso della minaccia di compiere l'atto del proprio ufficio;
• per integrare la minaccia ad un pubblico ufficiale è sufficiente l'uso di una qualsiasi coazione, anche solo morale od anche una minaccia indiretta, purché sussista l'idoneità a forzare la libertà di azione del pubblico ufficiale;
• tale minaccia può anche essere costituita da una condotta autolesionistica dell'agente, allorché sia finalizzata ad impedire o a contrastare il compimento di un atto d'ufficio del pubblico ufficiale.
Aggiunge la Suprema Corte che integrano la fattispecie anche contegni o propositi autolesivi del soggetto agente, che, per l'intrinseca ingiustizia del male così minacciato, si rivelino suscettibili “di intralciare l'esercizio della pubblica funzione, cui quei propositi autolesivi sono in modo specifico e strumentale diretti”. A nulla rileva che la minaccia si fosse poi rivelata in concreto irrealizzabile per l'assenza di liquido infiammabile nella bottiglia posseduta dall'imputato, circostanza di cui gli operanti non potevano essere a conoscenza. L'idoneità della minaccia, infatti, deve essere valutata con un giudizio ex ante, vale a dire tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive sussistenti al momento del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato non esclude il reato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi apparenza di serietà dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato.

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