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Sequestro penale dei prodotti con marchi contraffatti nei mercati e sulle strade

di Alberto Ceste

Chi per profitto acquista o riceve, poi commerciandola, merce con il marchio figurativo proprio della Nike, seppur con la scritta NKE, risponde penalmente sia del delitto di commercio di prodotti con segni falsi, sia del delitto di ricettazione, in concorso tra di loro. Le fattispecie incriminatrici dei due reati tutelano beni diversi, le due violazioni si realizzano in tempi e con modalità diverse, quindi, fra i due reati non può intercorrere un rapporto di specialità. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con una decisione che riveste particolare importanza per orientare l'attività della Polizia locale, e in generale di polizia giudiziaria, di fronte a tale merce, nei mercati o su strada (Corte di cassazione, sezione II penale, sentenza n. 53790/2017).

Conseguenze operative sui sequestri della merce
A livello operativo, sia che si tratti di azioni pianificate, sia che si agisca nell'immediatezza, l'organo di vigilanza provvederà a sequestrare penalmente la merce contraffatta e a denunciare chi la pone in commercio, la detiene per la vendita o la vende, adottando tutti i necessari e consequenziali atti di polizia giudiziaria, trattandosi di reati e non di meri illeciti amministrativi. A tutela della fede pubblica, del patrimonio e della correttezza nella libera concorrenza.

Il marchio quasi identico
La contraffazione del marchio penalmente sanzionabile si realizza con la riproduzione dell'altrui marchio originario in maniera identica o, perlomeno, quasi identica. La condotta punita dall’articolo 474 del Codice penale, infatti, non richiede una riproduzione del marchio perfetta, è sufficiente anche solo un'imitazione dello stesso meno spiccata, da accertarsi in base ad un confronto sintetico piuttosto che rigorosamente analitico, ma che dia comunque luogo a confondibilità tra i due segni distintivi. La contraffazione attiene al marchio nella sua funzione distintiva e non a quella estetico-descrittiva.

La valutazione di confondibilità
La valutazione di confondibilità deve tenere conto:
• degli elementi di similitudine e di quelli distintivi;
• dell'impressione d'insieme;
• dei consumatori dotati di media diligenza ed avvedutezza.
In buona sostanza, il giudizio di confondibilità dev'essere effettuato in concreto, anche perché il reato di commercio con prodotti falsi tutela la fede pubblica intesa come affidamento nei marchi o negli altri segni distintivi e non già gli acquirenti. Di conseguenza, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato è del tutto irrilevante che l'acquirente sia in grado, avuto riguardo alla qualità del prodotto, al prezzo, al luogo dell'esposizione o alla figura del venditore, di escludere la genuinità della merce. Quel che rileva è soltanto la possibilità di confusione tra i marchi e non già quella tra i prodotti (Corte di cassazione, sezione V penale, sentenza 14 febbraio 2008 n. 11240). Tant'è vero che anche la mera riproduzione di una figura costituente un marchio ed idonea ad ingenerare confusione nei consumatori è stata giudicata come condotta che integra il reato di cui all'articolo 474 del Codice penale (Corte di cassazione, sezione V penale, sentenza 24 ottobre 2016 n. 13078).

L'accertamento della contraffazione
In tutti i casi di contraffazione di marchi, specialmente se riferiti a marchi registrati e/o noti, l'accertamento della condotta può avvenire a mezzo di testi che, come nel caso in esame, risultino qualificati poiché in possesso delle conoscenze acquisite nel corso di abituale e specifica attività, in special modo se particolarmente esperti nel marchio Nike. Lo consente non solo la giurisprudenza formatasi sull'articolo 474 del Codice penale (Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 13 maggio 2015 n. 29891), ma anche quella che si è pronunciata sulla corretta interpretazione dell'articolo 196 comma 2 del Codice di procedura penale in materia di idoneità a testimoniare. Secondo quest'ultima, infatti, la menzionata norma di rito, “nel prevedere che il giudice possa ordinare gli accertamenti opportuni al fine di riscontrare l'idoneità fisica o mentale del teste a rendere testimonianza, non limita le modalità di verifica ai soli accertamenti di natura tecnica (quali perizie o esprimenti giudiziali), ma consente il ricorso anche all'esame di un teste «qualificato»” (Corte di cassazione, sezione III penale, sentenza 10 dicembre 2013 n. 11096).

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