Amministratori

Richiedenti asilo, il giro di vite rischia un’esplosione del contenzioso

di Mimma Amoroso

È stato chiaro a tutti fin dal primo giorno di governo: il ministro Salvini intende scardinare il sistema di asilo italiano, procedendo un tassello alla volta dalle operazioni di soccorso in mare ai servizi di accoglienza in favore dei richiedenti, fino all’attività delle commissioni competenti all’esame delle domande di asilo.
Con la circolare 4 luglio 2018 appena diramata ai prefetti e ai presidenti delle commissioni territoriali, sono state impartite precise direttive volte, anche in questo caso, a dare un giro di vite al sistema di protezione.

La direttiva
La direttiva affronta due tematiche fondamentali: i tempi di valutazione delle domande e la natura dei provvedimenti adottati.
Per quel che riguarda i tempi, il Ministro, forte di un provvedimento voluto dal suo predecessore Minniti (ma lungi dal richiamarne i riferimenti, che risalgono all’emanazione del DL del 17 febbraio 2017 n. 13), sottolinea l’importanza del supporto che potrà essere assicurato da 250 funzionari amministrativi appena assunti (per effetto del decreto Minniti) che fanno parte, in qualità di componenti, delle commissioni di valutazione delle domande di asilo (commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale) e che potranno elevare qualitativamente il lavoro delle stesse, essendo stati assunti specificamente e «formati» per svolgere tale attività a tempo pieno.
Sullo stesso piano, però, il ministro chiede che le commissioni lavorino a ritmi serrati, cinque giorni a settimana, per intensificare il tasso di esame delle domande di asilo pendenti che risultano in aumento nonostante il calo dei flussi migratori. Tale richiesta è rivolta non solo alle commissioni principali, i cui presidenti, viceprefetti, hanno un incarico esclusivo, ma anche alle sezioni, i cui presidenti supplenti, al contrario, hanno anche un altro incarico (se non di più) presso la Prefettura.
A prima vista l'indirizzo ministeriale dà la sensazione che le commissioni non fossero operative tutti i giorni. In realtà non si tiene conto del fatto che il lavoro delle commissioni non consiste solo nei colloqui con i richiedenti asilo, ma anche nella redazione del provvedimento che dev’essere ben motivato, soprattutto nel caso di diniego della protezione; per non parlare poi degli innumerevoli ricorsi giurisdizionali che vengono proposti nei casi di diniego, appunto, e che spesso vedono l’amministrazione non costituita in giudizio, per l’evidente impedimento rappresentato dalla impossibilità di poter essere presenti contemporaneamente in due luoghi diversi (in sede di audizione dei richiedenti asilo e in udienza) e della necessità di predisporre una quantità di atti per entrambe le attività senza poter contare su personale adeguato.
Infatti, se è vero che i 250 nuovi funzionari potranno svolgere molte delle attività appena accennate, non si può ritenere che il loro arrivo potrà essere davvero risolutivo per accelerare i ritmi di lavoro secondo le aspettative.

La «protezione umanitaria»
Ma ancor più dirompente è ciò che il ministro afferma nella seconda parte della circolare sui provvedimenti finali da assumere.
Dati alla mano, Salvini ricorda che nell’ultimo quinquennio (andando in tal modo a “pescare” anche le valutazioni delle domande di asilo presentate durante l’emergenza Nord Africa, quando gran parte dei flussi proveniva dalla Libia in crisi per la caduta di Gheddafi) evidenziano che il tasso di riconoscimento di una delle due forme di protezione internazionale – status di rifugiato e protezione sussidiaria - è relativamente basso: il primo è pari al 7%, il secondo del 15%. Al contrario è elevato il tasso di riconoscimento della protezione umanitaria che è pari al 25%, aumentato quest'anno al 28%.
Ed è proprio sul riconoscimento della protezione umanitaria che il ministro si sofferma, ricordando che è una tipologia di permesso di soggiorno che non trova equivalenti negli altri paesi dell’Unione e che il testo unico per l’immigrazione (Dlgs 286/1998) prevede possa essere rilasciato dal questore quando ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Si tratta di un permesso valido due anni, il cui rinnovo, pur essendo subordinato a una valutazione dell’attualità dei presupposti che hanno condotto al suo rilascio, avviene automaticamente e può essere convertito in permesso per lavoro.
Proprio l’ampiezza delle fattispecie che possono rientrare in questa tipologia di riconoscimento – rileva il ministro – hanno indotto la giurisprudenza e le Commissioni a favorirne il rilascio in misura via via crescente e per motivi spesso connessi allo stato di salute, al «tragico vissuto personale» e vari altri, sino a essere «strumento premiale per l’integrazione».
Con la conseguenza, prosegue il ministro, di alimentare un gran numero di autorizzazioni al soggiorno in Italia di persone gran parte delle quali – a suo dire – permane in Italia con difficoltà di inserimento, generando problematiche sociali e di sicurezza.

Il richiamo
Alla luce di queste considerazioni il ministro invita i collegi a valutare con maggior rigore la sussistenza di circostanze di vulnerabilità «degne di tutela» che, non possono essere riconducibili a «mere e generiche condizioni di difficoltà» e che devono invece essere effettivamente riferite a obiettive condizioni di negazione dei diritti umani nel Paese di provenienza connesse però alla vicenda personale del possibile beneficiario del permesso umanitario.
A cosa porterà l’esortazione del ministro a limitare le ipotesi di rilascio del permesso umanitario a soli pochi casi?
Certamente, in prima battuta e in estrema sintesi, porterà a una esplosione dei ricorsi giurisdizionali, con una serie di conseguenze ulteriori: anzitutto l’aumento del numero di richiedenti asilo ricorrenti presenti nelle strutture di accoglienza, e il relativo crescere dei tempi medi di permanenza e dei relativi costi; ma soprattutto l’ingolfamento del carico di lavoro dei tribunali, considerato che ancora molte decisioni saranno soggette al vecchio regime giurisdizionale, applicabile a tutte le domande presentate prima del 17 agosto 2017, data in cui è entrata in vigore la riforma che ha introdotto le sezioni specializzate e l’abolizione dell’appellabilità delle decisioni di primo grado.
In seconda battuta, qualora i giudici confermino la decisione negativa, assisteremo a un’esplosione di presenze irregolari, non essendo possibile una corrispondente esecuzione di espulsioni forzate; in caso contrario, qualora i giudici ritengano invece sussistere i requisiti per il rilascio del permesso umanitario, raccoglieremo un pugno di mosche.
Insomma, non sembra che questa direttiva possa essere decisiva per risolvere i problemi del Paese legati al fenomeno migratorio. Bisognerà attendere, quindi, le altre «rivoluzioni» annunciate, che, siamo sicuri, non mancheranno.

Il provvedimento

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