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I vaccini e le Regioni un caos di anagrafi

L’ultimo tassello arriverà a giorni, quando il decreto che istituisce l’anagrafe nazionale vaccini sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Ma se l’avvio di quello che è lo strumento base per monitorare le “coperture” e decidere gli interventi sul territorio è imminente, l’attuazione si preannuncia ancora in salita. Per far funzionare l’anagrafe unica - prevista dalla legge Lorenzin che ha ripristinato l’obbligo vaccinale a scuola a fine luglio del 2017 – basta un software. Ma sul tappeto c’è un problema non da poco.

Il federalismo vaccinale

Lo chiamano federalismo vaccinale: costola di quel federalismo sanitario che consente alle Regioni di organizzarsi come meglio credono, anche rispetto a interventi su temi cruciali di salute pubblica. A raccontare l’arlecchino sanitario sono i dati di ministero della Salute e Istituto superiore di sanità: Asl con software non dialoganti, incapacità di alcune regioni di inviare a Roma dati individuali e disaggregati. E in alcuni, anche se sporadici, casi, il permanere delle trascrizioni su carta.
Certo è che la legge sull’obbligo ha dato una forte spinta verso l’armonizzazione delle procedure. Ma gli aspetti organizzativi pesano, eccome. Una delle funzionalità principali dell’anagrafe nazionale sarà fotografare lo “stato vaccinale” di tutti i soggetti che possono essere sottoposti alla profilassi: è chiaro che se un bambino si sposta tra Asl diverse e queste non “dialogano” tra loro, si perde il dato sull’avvenuta vaccinazione, così come (ed è più grave) la mancata copertura per quell’antigene.
Una volta che l’anagrafe sarà a regime sarà in grado di restituire alle Regioni, che poi lo smisteranno alle singole Asl, l’identikit vaccinale di ogni individuo. Oggi oltre la metà delle amministrazioni - Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Bolzano e Trento, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto, cui nei prossimi mesi si aggiungeranno Piemonte, Sardegna, Calabria - si è organizzata con un unico software regionale, che è in grado di calcolare le coperture e di inviare i dati nel dettaglio al livello centrale. Ma i ritardi e la disorganizzazione altrove permangono. «L’optimum – spiega Vittorio Demicheli – il tecnico incaricato dalla ministra della Salute Giulia Grillo di gestire l’avvio e la messa a regime dell’anagrafe nazionale - sarebbe che almeno a livello regionale ci sia un sistema interoperabile, cioè in grado di far comunicare tra loro i sistemi informativi delle singole aziende. L’unico applicativo regionale resta, tuttavia, la scelta migliore per avere una panoramica completa sia delle coperture sia di altri dati importantissimi che confluiranno nel sistema nazionale, come le informazioni sulla farmacovigilanza».

A regime nel 2020

Lentamente le Regioni si stanno organizzando. Ma la stessa ministra Grillo ha indicato l’anagrafe unica come la base per realizzare interventi vaccinali sulla popolazione basati sull’ormai leggendario ossimoro dell’“obbligo flessibile”. Che significa intervenire tempestivamente con la coercizione, se necessario, dove e quando serve. Più facile a dirsi che a farsi: al ministero si sta pensando a una deadline oltre la quale non sarà più possibile alimentare l’anagrafe con modalità “fantasiose”. Che in definitiva non raggiungono il risultato di monitorare capillarmente il quadro vaccinale del Paese.
«Fine 2019 – annuncia Demicheli – potrebbe essere una scadenza realistica, se non ottimistica». Quindi, forse nel 2020 l’Italia avrà di fatto la sua anagrafe. E chi non si adegua? L’idea è agganciare il corretto ed esaustivo invio dei dati alla “griglia Lea”, cioè al set di indicatori che descrivono l’adempimento dei Livelli essenziali di assistenza da parte delle Regioni. Chi invia dati completi, presto e bene, ottiene punti. In caso contrario il “debito informativo” si paga. Anche in termini di accesso al riparto del fondo sanitario nazionale.

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