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Controllo giudiziario e prevenzione amministrativa antimafia: le prime istruzioni del ministero

di Paolo Canaparo

Una delle novità più significative della recente riforma del Codice antimafia è stata l'introduzione del controllo giudiziario, previsto dal comma 6, articolo 34-bis, del Dlgs 159/2011. L’istituto consiste in una vigilanza prescrittiva condotta da un commissario nominato dal tribunale, al quale viene affidato il compito di monitorare il rispetto di alcuni obblighi di compliance imposti dal giudice all'azienda.
La sua adozione - per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni - può essere richiesta dalle imprese destinatarie di una informazione antimafia interdittiva in base all'articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, e sospende gli effetti dell'interdittiva articolo 94 dello stesso Codice antimafia.
La prima applicazione del controllo giudiziario ha posto alcune questioni relativa agli effetti sul piano della prevenzione amministrativa antimafia, che la circolare del ministero dell’Interno del 2 novembre 2018 tenta di dare soluzioni, formulando alcuni orientamenti in esito ad una richiesta di parere della Prefettura di Catanzaro.

L’orientamento del Viminale
Partendo da alcuni pronunciamenti giurisprudenziali, in particolare dalla sentenza della Cassazione - V sezione penale - n. 34526/2018, in particolare dove sottolinea «l'ammissione al controllo giudiziario, per un'impresa raggiunta da una’interdittiva prefettizia, non può accettare alcun automatismo … altrimenti lo scrutinio sarebbe meramente formale e l'accesso al ‘controllo giudiziario' si tradurrebbe in un diritto potestativo dell'impresa», il Viminale ha evidenziato che l'istituto, comportando la sospensione dell'informazione antimafia interdittiva e la conseguenza che l'impresa ritorni “in bonis”, non compromette in alcun modo le finalità di prevenzione della legislazione amministrativa antimafia. Al contrario, è funzionale a promuovere il recupero delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali attraverso una’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, vale a dire, la libertà di impresa, da un lato, e la salvaguardia della legalità sostanziale delle attività economiche dalle infiltrazioni mafiose, dall'altro.
Il Viminale ha sottolineato che non nasce alcun onere ulteriore in capo alla prefettura, se non quello di far emergere l'intervenuta sospensione dalla consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. Nel caso, poi, in cui un operatore economico, una volta ammesso al controllo giudiziario e per il conseguente effetto della sospensione degli effetti interdittivi antimafia, reclami l'iscrizione nella «white list», questa non può essere rifiutata in quanto, tenuto conto che la consultazione dell'elenco è la modalità obbligatoria attraverso la quale deve essere acquisita la documentazione antimafia per le attività a rischio, finirebbe con il vanificare la sospensione disposta dal giudice, la cui finalità è proprio di incentivare l'adesione spontanea dell'impresa a questo nuovo strumento per consentirle di continuare adoperare nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Occorrerà monitorare con particolare attenzione la posizione dell'impresa iscritta, alla luce non solo dell'esito dell'impugnazione proposta avverso il provvedimento interdittivo che la riguarda ma anche degli sviluppi del procedimento di prevenzione instauratosi nei suoi confronti.

Il Tar Calabria
Da segnalare che il Tar Reggio Calabria, con la sentenza n. 643/2018, richiamando un precedente in termini del Consiglio di Stato (sezione V, 31 maggio 2018, n. 3268), ha chiarito che data la natura del controllo giudiziario e atteso che da esso discende la mera sospensione degli effetti dell'interdittiva (destinato, in quanto tale, ad operare per i rapporti futuri e non anche per il pregresso), non è possibile riconoscere a tale misura una efficacia retroattiva, dalla quale discenda l'automatico travolgimento degli atti medio tempore adottati dall'amministrazione.
Il giudice amministrativo calabrese ha evidenziato che il controllo giudiziario costituisce uno «strumento di autodepurazione dalle infiltrazioni criminali» che consente all'impresa ammessa «di continuare a operare nei rapporti con la pubblica amministrazione» (Circolare ministero dell'Interno 22 marzo 2018 n. 11001/119/20(8)-A. L'esigenza sottesa è conciliare la continuità aziendale con l'interesse alla realizzazione dell'opera di pubblica rilevanza. Ciò impone, pertanto, la necessità di operare un giusto contemperamento degli interessi coinvolti. Necessità che è tanto più forte ed immanente in una fattispecie in cui la procedura si era già conclusa con l'individuazione del nuovo aggiudicatario.
n tale situazione, continua il Tar Calabria, non c’è spazio per ipotizzare che gli effetti della sospensione prevista dall'articolo 34-bis, comma 7, del Dlgs 159/2011 debbano (o possano) retroagire fino a travolgere gli atti legittimamente adottati dall'amministrazione quale automatica e doverosa conseguenza dell'informativa interdittiva intervenuta a carico dell'originaria aggiudicataria. Un simile effetto, oltre a non risultare coerente con la ratio del nuovo istituto, è in contrasto con lo stesso tenore letterale della norma che individua un limite temporale (compreso tra uno e tre anni) di durata e collega alla misura la mera sospensione degli effetti dell'interdittiva.

La circolare del ministero dell’Interno 2 novembre 2018

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