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Sanzioni al conducente senza cintura se non ha il certificato medico che lo esenti dall'utilizzo

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di Daniela Dattola

Il conducente che riprende la marcia del veicolo senza allacciare la cintura di sicurezza, senza esibire ai verbalizzanti una certificazione medica attestante una patologia che lo esenti dal suo uso e che non dichiari la stessa neppure verbalmente all’atto del controllo deve essere sanzionato ai sensi dell’articolo 172 comma 1 e 10, Dlgs 285/1992 (Nuovo Codice della strada). Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 31264/2018

Il caso
Il ricorrente, fermato dalla Polizia municipale perché aveva ripreso la marcia del veicolo da egli condotto senza riallacciare la cintura di sicurezza che aveva slacciato poco prima allorché aveva fermato la marcia del proprio veicolo a causa di un asserita grave alterazione della pressione arteriosa, ha ricorso avverso la sentenza del Tribunale che ha confermato la sentenza del Giudice di Pace che aveva rigettato la sua opposizione al verbale di accertamento elevato dagli operanti per violazione dell’articolo 172 comma 1 e 10, Dlgs 285/1992.

La questione giuridica
Il ricorrente contesta il fatto che sia la sentenza del Giudice di Primo grado sia quella del Giudice di Secondo grado avessero indicato solo genericamente gli elementi posti alla base della decisione senza un’approfondita disamina logico-giuridica in grado di ricostruire il percorso decisionale.
Dal canto suo, la controricorrente Unione di Comuni da cui dipende il servizio di polizia municipale procedente ha rilevato come il Tribunale ha agito correttamente.
Secondo il Giudice d’appello, infatti, non vi era prova di patologia che giustificasse il comportamento sanzionato, evidenziando che il conducente non era in possesso di certificazione comprovante l’esenzione dall’uso della cintura e che non era nemmeno invocabile l’errore sul fatto, “… tenuto conto che dalle dichiarazioni rese ai verbalizzanti emergeva la piena consapevolezza delle doverosità della condotta [inspiegabilmente non tenuta, ndr]”.
Al momento dell’accertamento e della contestazione dell’infrazione stradale, infatti, il ricorrente si sarebbe limitato a riferire di essere appena partito di stare per riallacciare la cintura, a riprova della consapevolezza della doverosità dell’omessa condotta imposta dalla norma stradale esaminata.

La decisione

Il Collegio ha deciso che non sussistono né la carenza assoluta di motivazione dell’impugnata sentenza né l’omesso esame ascrivibile alla stessa di fatti decisivi ed ha quindi rigettato il ricorso.
La decisione in rassegna si basa su una puntuale ricostruzione del significato e della portata dell’articolo 360 comma 1, numero 5, Cpc interpretato nella sua attuale versione.
La norma che consente il ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ha unicamente “… l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge”.
Ciò, però, accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per mancanza della motivazione che non consente l’individuazione della ragione della decisione.
Il che, nel caso di specie, non è affatto avvenuto, poiché la motivazione esiste ed è scevra da illogicità ed in più il ricorrente non ha neppure allegato i fatti che nel proprio assunto difensivo non sarebbero stati colpevolmente esaminati dal Tribunale.

Considerazioni finali sostanziali
L’ordinanza in commento è pervenuta alla decisione con argomenti strettamente processuali.
Vale però la pena di rilevare, a completezza del quadro giuridico di riferimento, come già la Corte Costituzionale, con l’ordinanza numero 49/2009, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’articolo 172 del Codice stradale censurato in riferimento agli articoli 13 e 32 della Costituzione e dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui impone l’obbligo dell’uso della cintura di sicurezza e prevede sanzioni in caso di mancato uso.
La Corte ha sancito che “è ammissibile, invero, che la protezione della salute del singolo come interesse della collettività determini una trascurabile limitazione della libertà personale, che, lungi dal rappresentare una costrizione, … si configura come un impedimento di fatto che non impedisce comunque il raggiungimento dello scopo per cui è concepito l’uso dell’autovettura…”.
La stessa Corte di Cassazione non ha mancato di rilevare come per la ricorrenza dell’esimente dello stato di necessità (astrattamente ipotizzabile nella fattispecie giudicata) di cui all’articolo 4, Legge 689/1981, conformemente al disposto dell’articolo 54 Cp richiamato dalla citata norma di depenalizzazione, occorre che sussista un’effettiva situazione di pericolo imminente di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’erronea convinzione, provocata da circostanze oggettive, di trovarsi in tale situazione (Corte di Cassazione, sezione VI – 2, ordinanza 4834/2018).
Requisiti, questi, che non solo non sono stati affatto provati dal ricorrente nel caso in esame, ma che non sono stati dallo stesso neppure asseriti all’atto del controllo.

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